Quando si parla di cavi, a maggior ragione se digitali, si tratta un argomento delicato, quasi spinoso, a causa di (apparenti) punti di vista, spesso opposti, che difficilmente riescono a convivere. Tra essi, un esempio particolarmente controverso è quello dei cavi USB.
Di primo acchito, forse risulta difficile pensare ai cavi USB come ad elemento rilevante ai fini del risultato: quante volte abbiamo stampato perfettamente, usando quel cavo vecchio, logoro e schiacciato qua e là, senza il benché minimo problema?
Quale motivo dovrebbe dunque esserci per attribuire un ruolo ad un cavo così banale e perché dovrebbe esserci addirittura differenza tra un cavo USB e l’altro? Perché ogni volta che gli audiofili mettono il naso in qualche settore, magicamente in esso compaiono oggetti apparentemente senza senso, come dei cavi USB da 300 euro?
Facilmente verrebbe da dire che sono tutte sciocchezze e che l’audiofilo medio è solo un visionario spendaccione; eppure, com’è vero che “anche un orologio fermo ha ragione due volte al giorno”, talvolta chi ha una certa esperienza e sensibilità riesce a cogliere differenze che ad altri sfuggono, magari perché avulso da preconcetti, i veri nemici “interni” della conoscenza.
Prima di tutto, chiariamo che la questione dei cavi USB, ovvero la rilevanza ch’essi dimostrano sul risultato finale, è un dato di fatto per chiunque ne abbia esperienza di ascolto; e non parliamo di sottili sfumature da cogliere nel “momento d’ispirazione”.
Essa non viene risolta neppure interponendo un DDC (Digital to Digital Converter) USB > I2S di ottima fattura tra computer/server/quello che vi pare e il nostro DAC: anche con l’ausilio di tale dispositivo, le differenze tra un cavo e l’altro permangono.
Eppure, non è che cambiando il cavo della stampante si ottengano stampe migliori, né tantomeno copie “più fedeli” dei file che spostiamo da un hard disk all’altro.
Al massimo, ci possono essere degli errori se il cavo è danneggiato o fuori standard. Se un cavo USB risponde alle specifiche e dispone del logo USB Certified (che quasi tutti i cavi audio NON hanno stampato sulle confezioni), tutto funzionerà perfettamente.
Quindi dove sta il problema?
Il punto è che parliamo di cose differenti. Andiamo con ordine.
Prima di tutto, vediamo com’è fatto un cavo USB 2.0 High Speed, perché di questa tipologia di collegamento tratteremo.
Esso, come mostrato in Fig.1, si compone di 4 conduttori avvolti da uno singolo schermo, 2x la linea dati aventi sezione di 28 AWG, e 2x l’alimentazione, la cui sezione può variare dai 20 ai 28 AWG.
L’impedenza prevista è 90 Ohm, con una tolleranza di +/- 15 Ohm, per una lunghezza massima di 4.8 mt. Un cavo così realizzato dovrebbe permettere un trasferimento dati fino alla velocità massima di 480 Mbit/sec.
Partendo da questo, come possiamo notare in Fig. 2, i produttori di cavi del mondo Hi-Fi si sono prodigati nel realizzare cavi anche molto diversi dalle soluzioni standard.
Geometrie complesse, materiali pregiati (argento, rame OCC oppure OFC), schermi multipli, completa separazione della linea di alimentazione da quella dati.
A questo punto, viene da chiedersi: per quale motivo? Cosa me ne faccio, di un cavo USB in Rame OCC Silver Plated che mi costa come o più del disco da 4 TB che ho comprato l’altro giorno?
Nel bus USB (Universal Serial Bus), la comunicazione tra host (es. il PC) e device (es. il DAC o l’hard disk) viene chiamata “transfer”.
Quando l’host apre un “transfer” con un device, questo transfer può essere composto da uno o più pacchetti, detti “transaction”; ogni “transaction” è a sua volta costituita da altre sotto-parti, i “packet” che a loro volta contengono diversi tipi di informazioni.
L’aspetto fondamentale di tutto questo è che nel protocollo USB esistono non uno, ma quattro tipi di “transfer”, e noi parleremo di due di essi, quelli che ci interessano.
Quando trasferiamo i dati da un hard disk all’altro, noi usiamo il BULK TRANSFER, che è un transfer LOSELESS (senza perdita di dati) in cui la velocità di trasferimento dati NON è garantita, ed è dunque variabile: viene usata tutta la banda a disposizione “fin che ce n’è”; in caso di congestione, la velocità di trasferimento calerà, per poi eventualmente tornare ad aumentare.
Nel BULK TRANSFER, le singole “transaction” dispongono però degli “handshake packet”, che sono dei pacchetti – posti a chiusura della “transaction” – che contengono informazioni sul controllo d’errore della singola “transaction” nella quale sono contenuti.
Quindi, usando l’USB nella modalità “BULK TRANSFER”, ovvero quando mettiamo in salvo i nostri dati ad esempio su un disco esterno (un altro tipo di “device”), non sappiamo quanto tempo ci metteremo a copiare i dati, ma siamo certi che avremo un copia perfetta di tutte le nostre informazioni.
Tutto questo non è assolutamente vero quando usiamo il nostro DAC.
Per lo streaming audio, le cose funzionano diversamente, infatti si usa quella che prende il nome di “Isochronous Transfer”, che è una modalità di trasferimento dati REAL-TIME che prevede una porzione di banda passante RISERVATA, non DINAMICA come nel “bulk transfer”; ma soprattutto, questa modalità non prevede gli “handshake packet”, i pacchetti per il controllo di errore posti alla fine di ogni “transaction”.
Viene dunque considerata una connessione inaffidabile, con possibile perdita di dati, perché viene data priorità alla necessità di avere un flusso dati costante e real-time. Questa è la differenza, ed il motivo per cui è assolutamente inutile confrontare la connessione USB di una stampante con quella del DAC: essendo quest’ultima una connessione “LOSSY”, ovvero con perdita di dati, tutte le variabili possibili, quindi ANCHE il cavo USB, diventano significative, e impatteranno direttamente sul risultato finale in un modo che non è possibile prevedere.
Nel bus USB convergono interferenze generate dai processori (CPU, GPU, DSP), dall’alimentatore, dai VRM di alimentazione della motherboard, dalle ventole, dai motori degli hard disk e nel caso della connessione con il DAC, la necessità di ottenere uno streaming real-time a bitrate praticamente fisso, rende il trasferimento dati sicuramente meno affidabile di quando si copia un file su un dispositivo di memoria.
Questo perché, ricordiamolo, il nostro hard disk usa una modalità di trasferimento LOSELESS a velocità variabile al fine di trasportare informazioni che devono essere solo COPIATE, rimanendo peraltro sempre nel dominio digitale; la priorità è l’integrità dell’informazione, tutto il resto è secondario.
Un DAC usa invece una modalità di trasferimento LOSSY e REALTIME la cui priorità è un flusso dati costante da cui ottenere delle informazioni sicuramente incomplete che verranno prima convertite da digitale a digitale, poi da digitale ad analogico, poi amplificate almeno 2 volte e infine convertite in onde sonore dai trasduttori acustici.
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