Quando decisi di approntare le sale d’ascolto della redazione di Audiosinapsi, mi fu subito chiaro che la più piccola delle tre, con le sue dimensioni di 14 mq sarebbe diventata presto il luogo degli ascolti in “nearfield”.
Nella mia vita audiofila ho sempre desiderato una saletta dedicata a questa modalità d’ascolto, estremamente coinvolgente e dal carattere fortemente immersivo.
Tuttavia, non avevo mai fatto i conti con la mia esperienza d’ascolto live nei teatri cittadini e nei jazz club nei quali si è formata la mia passione per la musica; il dualismo fra l’ascolto coinvolgente dei jazz club e la mia solita settima fila a teatro per la lirica e la sinfonica mi hanno sempre messo in crisi nella costruzione delle mie sale domestiche, tendenzialmente fra i 20 e i 30 mq, moderatamente sufficienti per la riproduzione di un discreto palcoscenico da musica classica ed al contempo, incapaci di un coinvolgimento ravvicinato tipico dell’atmosfera jazz club.
Perché un ascolto nearfield, non prevede “semplicemente” l’avvicinamento del punto d’ascolto rispetto alla congiungente i diffusori ma anche uno spazio alle spalle sia di questi ultimi che dell’ascoltatore, correttamente rispettoso delle regole auree di una sala d’ascolto; servono perfette simmetrie laterali, forte “toe in” dei mini diffusori, e la giusta “balistica” dei rimbalzi e delle correzioni appropriate sulle prime riflessioni.
Proprio per questo motivo, ho dunque voluto provare le tre coppie di bookshelf oggetto della prova comparativa, prima nella sala grande di Audiosinapsi (25 mq), dove campeggiano le grandi Genesis III dell’impianto di riferimento.
La conferma non si è fatta attendere: nessuno dei diffusori risulta coinvolgente e la tendenza ad alzare il volume li rende fastidiosi saturando l’ambiente di porzioni di gamma medioalta e svuotando il contenuto basso dello spettro.
Allestendo dunque la sala piccola di 14 mq, posizionate in un triangolo equilatero con lati da 190 cm, si realizza perfettamente l’effetto nearfield desiderato.
Così, dopo due giorni di “sgranchimento” dei driver sotto le cure del maestoso McCormack DNA 225 le tre coppie alternate, erano pronte per i primi ascolti ufficiali.
L’oggetto reale della prova erano senza dubbio le americane Infinity Modulus, capolavoro di Arnie Nudell, progetto a cabinet super rigido e anello di congiunzione con le successive Genesis Advanced Technologies e le britanniche Kef 101, “sorellastre” senza pedigree delle mitiche (o mitizzate?) Ls 3/5 a.
Queste ultime, progetto BBC realizzato con i medesimi drivers Kef B110 e T27 ma con cabinet appena più capiente, nettamente più rigido e senza bordi prominenti, da molti (e dal sottoscritto) considerate più neutre, rotonde e complete dei monitor su licenza BBC prodotti da uno stuolo di aziende quali Rogers, Harbeth, Stirling, Spendor e la stessa Kef.
Come molte procedure scientifiche comparative insegnano, bisogna però avere un riferimento terzo rispetto al quale parametrarsi e dalla collezione di mini diffusori di Audiosinapsi, ho estratto le outsider più sfrontate e irriverenti che potessi scegliere: Monitor Audio MA101, affette da “nanismo” ma con una voce e una personalità da vendere.
Le Monitor Audio compensano in gamma bassa la differenza di diametro del woofer col reflex posteriore. A dispetto del nome, di monitor rivelano ben poco, con un suono perfettamente stagliato sulla parete posteriore e ben stratificato per piani sonori. Il primo ascolto, con la voce di Gianmaria Testa lo conferma; è perfettamente scontornata, naturalmente roca e grassa ma senza alcun eccesso.
Contenuto armonico straordinariamente bello con decadimento perfetto e senza mai cenni di permanenza in ambiente oltre la sensazione naturale che si riconosce a un ascolto live.
Le kef 101 sono in realtà dei veri monitor, con un suono “croccante” e moderatamente colorato che dona calore e coinvolgimento emotivo. Il volume necessità di una centratura perfetta perché al minimo dislivello presenta cenni di affaticamento d’ascolto o viceversa di perdita di coinvolgimento.
La vividezza degli strumenti in gamma media esprime la classe dei componenti e del progetto e spiega il successo di questi monitor senza tempo. Tuttavia, la scena non esprime un respiro pari a quello degli altri due diffusori in prova e i piani sonori non risultano stratificati in maniera corretta con i monitor che spesso richiamano attenzione su se stessi rendendosi presenti in ambiente e lasciando crollare in alcuni momenti la magia di passaggi musicali precedenti.
Una specie di interruttore on/off che ogni tanto si innesta togliendo continuità al racconto musicale e alla completa immersione dell’ascoltatore. Un diffusore impertinente che esalta alcuni momenti musicali ma ogni tanto ne mortifica altri.
La gamma bassa per contro è decisamente più completa delle Monitor Audio anche se meno disegnata a matita punta fine ma più con tratto a pennarello.
Le Infinity Modulus, impegnate nello stesso repertorio cantautorale, disegnano sul muro note dai contorni di una precisione fuori dal consueto.
L’assenza di baffle restituisce il puro movimento meccanico degli altoparlanti senza alcuna connotazione aggiuntiva.
Il cabinet, totalmente sordo, rende l’articolazione del mediobasso perfetta e indipendente dai diffusori.
La scena si estende in larghezza alle spalle dei diffusori alimentando un palco di grande respiro.
Certamente meno coinvolgenti le voci e i fiati ma la totale assenza di fatica d’ascolto anche a volumi più arditi, ripaga ascolti prolungati all’infinito.
Night and the City il capolavoro live di Charlie Haden e Kenny Baron costituisce un banco di prova straordinario per valutare l’immersività di un ascolto di grande livello.
Le Infinity Modulus si confermano un osso duro per qualsiasi amplificazione, persino per un mostro di potenza come il McCormack. Alzando il volume oltre il lecito, il pianoforte si irrigidisce, perdendo l’animosità armonica del legno stagionato.
Tuttavia, anche in questo caso, basta chiudere il potenziometro di pochissimi gradi, complice l’estremo guadagno del preamplificatore Conrad Johnson Pv9, perché l’armonia collettiva dell’ensemble riprenda magicamente forma.
Twilight Song in pochi istanti ri-materializza nella mia sala d’ascolto la hall dell’Iridium Jazz Club con un effluvio di armoniche sempre composte e mai invadenti oltre il tempo e lo spazio d’ascolto.
Ma le Kef 101, riescono a fare qualcosa di diverso seppur sempre e solo nell’alveo di un rigore generale ineccepibile. Il palcoscenico dell’Iridium Jazz Club palpita delle vite animate del pubblico in sala mentre Kenny Barron svolazza sulla tastiera del pianoforte accentando qua e là colori pregni di sensuali pregiati legni.
Il contrabbasso di Charlie Haden si carica di un colore tonale maggiormente espressivo di quello rappresentato dalle Infinity Modulus ma i contorni risultano anche in questo caso meno netti e definiti e l’insieme ritmico meno articolato seppur magicamente coinvolgente.
Come nei precedenti ascolti, le Kef 101 seducono prima ma stancano un po’ di più sulla lunga percorrenza.
Permane quel duello a distanza fra due diffusori strepitosi che parlano a mente e cuore, due organi diversi, pur risultando ammalianti generatori di endorfine entrambi.
Si materializza uno dei più classici casi di soggettività come elemento finale aggiunto e legittimo quando poggia su un substrato oggettivamente ineccepibile per il 95% del contenuto musicale riprodotto.
Basterebbe un cicchetto di whisky in più (o uno in meno) per far prevalere le ragioni del cuore o della mente al cospetto di una scena musicale straordinariamente emozionante con entrambe le coppie protagoniste.
Le Monitor Audio MA101 ? Da perfetti outsider, snobbano le classificazioni che ho appena espresso; rimescolano le carte e chiudono la convergenza fra le attitudini delle coppie di diffusori precedenti.
Le note del pianoforte si stagliano intellegibili sulla parete di fondo con una stratificazione superiore alle Kef ma meno netta delle Modulus seppur di poca misura. I tasti del pianoforte sembrano rivestiti di un lieve spessore di materiale soft touch che ne restituiscono un suono meno aggressivo ma delicatamente emozionante. Il contrabbasso non lascia intravedere alcuna traccia di molti ammorbanti reflex, risultando liquido e continuo.
Accanirsi nella ricerca del punto debole è un’impresa a cui mi sottraggo volentieri, nella consapevolezza che certamente ci sarà a volumi d’ascolto più ardimentosi ma che francamente non sento di dover indagare. All’amor di recensore pignolo, sostituisco l’amore da musicofilo e questa coppia di microbi non merita iper-analisi né capzioso uso del bisturi.
La facilità del carico visto dall’amplificatore è di tutta evidenza. Per contro, è facile intuirne la bassa capacità frenante all’aumentare del volume che invece esalta le Modulus, difficili da spingere ma superbe nel controllo delle note basse.
Una nota a parte meritano gli applausi del pubblico presenti in questa straordinaria incisione.
Perfetti, emozionanti e del tutto indistinguibili nelle performance delle 3 coppie di diffusori oggetto di questa prova comparativa. Segno che in quell’intorno di frequenze, non persistono differenze apprezzabili.
L’oggettività di base a cui accennavo prima si palesa proprio in questa quota priva di qualsiasi interpretazione e segno di progetti acustici drammaticamente densi di qualità progettuale. Le firme di ciascun progettista rimangono chiare e intellegibili ma non invadono mai il quadro tonale e timbrico che risulta in tutti i casi eccezionale.
L’indagine sulle voci femminili è stata ampia e soddisfacente ma mi soffermo sugli appunti presi durante l’ascolto di “Last Quartet Moon” di Chiara Civello.
Anche in questa registrazione in studio, priva di una reale scena acustica, le Monitor Audio presentano una buona separazione degli strumenti pur non trattandosi di una reale stratificazione dei piani sonori, stante l’assenza di un reale posizionamento in ambiente dei musicisti. Questi nano-bookshelf, impressionano favorevolmente anche nel trattamento della voce femminile. Tuttavia, è quando il gioco si fa duro che rivelano i loro limiti fisici andando in affanno sui picchi dinamici della Civello. Un pelo di volume in più e perdono purtroppo quella “coerenza perfetta” manifestata fino a quel limite immaginario sul potenziometro.
È da quel punto in su che le Kef 101, introdotte subito dopo nella catena audio, rivelano la loro classe superiore. La voce è semplicemente perfetta. Nessuna variazione timbrica in un range di volume ben più ampio di quello nel quale sono circoscritte le Monitor Audio.
Appena connesse, le Kef 101 impattano con quella personalità “impressive” che costituisce la cifra stilistica del progetto BBC LS 3/5a e che ammalia subito. Piacciono anche a me. Tanto e voglio sia chiaro; ma la loro fama, non mi trattiene dal rilevarne anche i punti deboli dettati dalla estrema difficoltà di posizionamento in ambiente e dalla assoluta necessità di averle in vero nearfield a meno di 2 mt dalle orecchie.
Oltre quella misura, diventano insopportabili e confusionarie nella riproposizione scenica. Le Kef 101 sono occhi di bue sulle voci e sugli strumenti solisti ma perdono facilmente l’ensemble e questo, per il mio modo di ascoltare in alta fedeltà è purtroppo un grande limite che non mi permette di innamorarmene pienamente. Gli arpeggi di chitarra ad esempio, non c’è modo di vederli provenire alle loro spalle; puntualmente riproposti dalla congiungente i due diffusori in avanti, sensibilmente in posizione innaturale rispetto all’ensemble e prospicenti rispetto alla voce.
Sul fronte Infinity? Le Modulus affrontano Chiara Civello con immutato snobbismo. La voce, ben presente ma almeno un metro e mezzo dietro i diffusori, perfettamente armonizzata con gli strumenti, rende lo stage riprodotto, il più credibile della comparativa.
Il messaggio musicale è “logicamente coerente” quanto quello delle Monitor Audio ma senza i limiti di scollamento che quest’ultime manifestano oltre una certa rotazione del potenziometro del volume.
Le Modulus sembrano sfidare il portentoso McCormack sul piano dei decibel e l’ambiente su quello della saturazione. Il suono è roccioso, coeso e ciononostante, morbido e rotondo quanto quello delle Kef 101. Ma se con le Kef prevale la vividezza delle singole parti, con le Infinity trionfa lo stage in larghezza e profondità, coeso e naturale.
È di tutta evidenza che se il parterre predilige voci e strumenti solisti, il progetto BBC è il monitor ideale senza le estremizzazioni radiografiche dei monitor pro moderni. Se le esigenze immersive di un ascolto domestico suggeriscono coerenza totale, le Infinity Modulus rappresentano, a mio parere, l’apice della musica disegnata senza mai soluzione di continuità nel tratto grafico.
Suonano divinamente in nearfield ma non perdono rigore neanche arretrando il punto d’ascolto.
Se il tweeter T 27 è co-protagonista col midwoofer in bextrene delle Kef, l’ Emit delle Modulus non sottolinea ma accompagna il lavoro del midwooofer in kevlar, restituendo ambienza eterea.
Filosofie soniche diversissime e tuttavia affascinanti prima ancora che perfettamente ortodosse.
La prova della musica classica
La “Symphonie Immaginaire” di Marc Minkowski è un banco di prova eccellente per diverse motivazioni: la registrazione ineccepibile già in pcm 16/44.1 ha reso questa sinfonia un mio must assoluto in termini di trasparenza e dinamica.
La varietà delle scene assemblate in sinfonia da Minkowski, tratte da suite e balletti di Jean Philippe Rameau, consente una valutazione dell’orchestrazione a tutti i livelli: dall’unisono di una grande massa orchestrale alla minuzia interpretativa di una “gavotte” di eleganza assoluta, alla scansione dei piani orchestrali in profondità, alla valutazione del timbro dei legni e degli ottoni.
Un capolavoro di assemblaggio considerabile a tutti gli effetti una Sinfonia “non solo” immaginaria e immaginata dal “Conduttore” ma un’opera dotata di autonomia filologica assoluta e sono certo che Rameau avrebbe apprezzato potendola ascoltare.
Appena parte la Sinfonia, rifletto sul fatto che le Infinity Modulus giocano il loro jolly, laddove le Kef 101 hanno giocato la loro carta migliore sulle voci soliste.
«Pour jouir pleinement des effets de la Musique, il faut être dans un pur abandon de soi-même.»
«Per gioire pienamente degli effetti della musica, bisogna essere in un puro abbandono di se stessi.» (cit. J.P. Rameau)
E’ proprio la capacità di rendere l’ascolto realmente immersivo il punto forte delle piccole americane.
Difatti, lo scorrere delle note mi confermano la speciale predilezione per l’ascolto della musica classica che io nutro per questi fuoriclasse fra i mini diffusori. Fluidità, leggerezza, ambienza da vendere mai disgiunte da perfetti accenti dinamici timbricamente irreprensibili.
La matita di Arnie Nudell rivela una punta finissima come pochissimi diffusori io abbia mai ascoltato. Un disegno che si dipana sulla parete di fondo in larghezza e profondità e che immerge visivamente nell’ascolto senza mai nevrotizzarlo con sfarzosi iper-dettagli fini a se stessi. Con le Modulus si coglie l’opera artistica per intero e nel dettaglio al contempo e io ritengo sia una dote rarissima non alla portata di tutti i progetti acustici.
La “ciaccona” finale di Rameau è il trionfo della dinamica e della separazione dei piani sonori. Un tourbillon di fiati e violini da imbarazzante pelle d’oca. Un diluvio d’emozione culminante nei colpi dei timpani ad una profondità inaudita rispetto ai pizzicati dei violini in prima fila.
Anche chi non è abituato all’ascolto di un grande impianto audio, coglierebbe immediatamente la sensazione straniante dei diffusori che sembrano spenti e la provenienza dal fondo della sala dei grandi colpi di tamburo perfettamente scontornati, violenti e precisi come colpi di cannone.
Profondamente frastornato da tanta magia, reintroduco velocemente nella catena le Kef 101 e faccio ripartire l’overture ma niente da fare. Per quanto le britanniche siano sempre e comunque meravigliose nel timbro, sono davvero lontane dalla capacità di spegnersi totalmente e sparire alla vista, rimarcando sempre quella presenza tanto cara agli appassionati del suono monitor ma francamente lontana dal concetto di musica oltre l’impianto.
D’altronde, cogliendo il lato buono che anche le Kef riescono a esprimere con la musica classica, violini e viole seppur meno disegnati nello spazio, coinvolgono con quel graffio carnoso che ne caratterizza un ascolto nearfield di assoluta eccellenza che potrei sintetizzare in un giocoso slogan “meno ambienza, più presenza”.
Il dettaglio è certamente la cifra stilistica di questi gloriosi monitor BBC e non v’è dubbio che se fossero accompagnati anche da un rigore nella proposizione dell’ambiente di registrazione, avrebbero pochi rivali e invece pagano pegno alle americane proprio nel presenzialismo, moderato ma evidente nel confronto diretto.
La diafonia è spesso la loro costante e porta con se il disincanto dell’ascolto veramente immersivo come io lo intendo e lo coltivo nei teatri della mia città. Le Kef 101 ti prendono e ti lasciano di continuo laddove le Infinity Modulus ti prendono e ti trasportano nella musica lasciandosi dimenticare.
E le Monitor Audio 101?
Se state pensando che con la sinfonica siano fuori dai giochi, vi sbagliate di grosso.
Inserite nella catena audio come ultimo passaggio di questa maratona d’ascolto durata ben 10 giorni, spengono le luci del palcoscenico con una firma dalla calligrafia dolcissima e appagante quanto le altre due primedonne.
I loro limiti dinamici vanno considerati sempre e solo nel confronto diretto senza il quale, sarebbero un colpo di fulmine per tantissimi audiofili maturi. Non seta ma caldo velluto, fanno del collante armonico la loro forza. Nei passaggi più introspettivi de “Les fêtes d’Hébé”, la delicatezza di questi nano-diffusori è pura poesia.
L’ascolto della Gavotta catapulta istantaneamente nella corte reale a passo di danza felpato. Le Monitor Audio parlano agli occhi decisamente meno delle altre contendenti oggetto della prova ma compensano col trasporto “auditivo”, meno evocativo nelle immagini ma più introspettivo nella ricerca del messaggio sonoro voluto da Rameau. Lillipuziane nelle misure, grandiose nel trasporto ritmico e armonico.
In conclusione di questa emozionante comparativa, sono certo che non avrò spostato di un millimetro i confini delle schiere avverse dei fans di questi iconici mini-diffusori che hanno fatto la storia dell’Hi Fi; mi piace però credere che le opposte fazioni del suono “monitor” e “rear back” si ritrovino nelle mie descrizioni e soprattutto, che sia riuscito a limare gli assolutismi concettuali opposti.
La musica, seppur dotata di significati propri, una volta “emessa”, non è più proprietà degli autori ma dei fruitori. Costoro, legittimati a fruirne secondo la propria esperienza, nella modalità che più loro aggrada e sviluppa l’evocazione di vissuti, li adagiano sui propri, in uno sforzo di collimazione eterno ed eternamente incompiuto.
Nella storia dell’hifi, non c’è dunque posto per giudizi assoluti fra progetti senz’altro superiori, ma non per questo tassativamente scevri da modelli interpretativi tratti da angolazioni diverse e queste piccole icone del mondo audiofilo, sono qui per dimostrarlo ancora dopo decenni dalla loro comparsa sul mercato.
Catena audio utilizzata per la prova comparativa:
- sorgente: Daphile Music Player in configurazione hardware server + client
- DAC: Audio Gd Master 7
- Preamplificatore: Conrad Johnson PV9
- amplificatore finale: McCormack DNA225
- Cavi segnale: Qed Reference
- cavi potenza: Transparent Musciwave Super
- Multipresa: Oehlbach Power Station 909
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