Multiprese. Tutte uguali?

Prendi un tralcio di vite, saldamente piantato nel terreno da cent’anni. In quello specifico terreno da cui si nutre attraverso le radici, generando grappoli, acini, buccia e semi.

Attendi la vendemmia: taglio, trasporto, deraspatura, pigiatura, conservazione, imbottigliamento.

Infine il vino. Al palato dolce, sapido, tannico, acido.

Sentori fruttati di mela, banana, pesca, melone, fragole, frutti di bosco o floreali, di fiori d’acacia, biancospino, rosa e violetta.

Tranquilli, nessuno ha osato additivare il Gewurztraminer con essenze floreali e tuttavia, il suo inconfondibile profumo di fiori, non lascia scampo persino ai meno adusi alla degustazione enologica.

Tranquilli 2 (la vendetta), nessuna pianta d’ananas nei dintorni, neanche a cercarla scrupolosamente col cannocchiale.

E’ solo questione di molecole in comune: [ Il famoso aroma di “peperone” che caratterizza il Merlot ed il Cabernet Sauvignon non pienamente maturo, è in realtà causato da una molecola della famiglia delle “Pirazine” la metossi-pirazina (iso-butil-metossi-pirazina).

Le molecole di questa famiglia, sono anche responsabili dei sentori erbacei e di ortaggio.

L’aroma di “frutto della passione” è causato da molecole tioalcoliche della famiglia dei “mercaptani”. Queste stesse molecole ad alte concentrazioni sono anche responsabili del classico aroma di “pipì di gatto” dei Sauvignon Blanc.

Infine il famoso aroma di “pepe nero” che caratterizza le uve Syrah origina da una molecola di recente scoperta: il rotundone.

Il rotundone è presente in alte concentrazioni nel pepe, prevalentemente nel pepe nero, ed in concentrazioni molto basse in vari vitigni. Le concentrazioni più alte nelle uve si raggiungono proprio nel Syrah]. (cit. Massimiliano Montes in cronachedigusto.it)

C’è dunque una radice comune che è la base minerale da cui le molecole dell’uva e del peperone o del frutto della passione traggono origine.

Volendo banalizzare (ma neanche tanto), potremmo dire che “è tutta una questione di chimica” o di minerali di riferimento contenuti nel terreno a far la differenza fra vitigni e vitigni e dunque, fra sentori e sentori (riferendoci solo a quelli primari o varietali).

Mutatis mutandis, se dovessimo scarnificare l’esperienza acustica riducendola al minimo comun denominatore, dovremmo dire che “è tutta una questione di elettricità” o, se vi fa comodo, di flusso di elettroni (turbato, imperturbato, trattato, convogliato, impedito).

E’ dalla famigerata presa al muro che tutto parte in hifi, ma c’è chi sostiene che non sia così e che per reperirne l’origine, si dovrebbe risalire alla cabina elettrica di derivazione. Ma a questo punto, perché non alla centrale elettrica di emissione? E se andassimo più indietro, fino al generatore idroelettrico o eolico o solare che immette?

E’ del tutto evidente che un tale ragionamento porterebbe all’infinito e poiché l’infinito non ci è dato conoscerlo, non ci resta altro che analizzare il “finito più prossimo” e tentare di capire quanto modifica il famigerato flusso elettronico e quanto è limitabile il danno.

Armandoci dunque di una sana dose di pragmatismo, iniziamo col dire che tutto ciò che “audiofilisticamente” possiamo fare, è intervenire esclusivamente dalla presa a muro delle nostra abitazioni (meglio sarebbe se alla stessa, arrivassimo con un cavo di buona sezione e qualità dal contatore domestico, parallelamente e separatamente dal resto delle prese dedicate alle utenze di casa).

Sembra poco? Invece è tanto ma proprio tanto. E’ evidente che se la corrente è sporca (poiché ha captato fino alla presa a muro, ogni tipo di rumore possibile), è necessario filtrarla. Se è ballerina? E’ necessario stabilizzarla. Se è bassa? È necessario ricostruirla.

Nella mia esperienza diretta, ad esempio, utilizzo in casa un UPS professionale da sala operatoria che mi ricostruisce l’onda sinusoidale e la porge all’impianto in forma stabile e perfettamente a 230v.

Credete che quel che emette il mio (complesso) impianto a 220v sia uguale? Affatto. Il suono a 230v è turgido, netto, velocissimo, armonicamente ricco, neanche lontanamente confrontabile con il medesimo a 220v. Ma andiamo oltre.

Nella sede di Audio Sinapsi, abbiamo sin da subito fruito di uno spettacolare filtro di rete a trasformatori progettato dal team di Trifirò (T-Audio, Teorema Acustico). Ben 2600 watt gestiti in scioltezza da un bestione di 54 kg attraverso due trasformatori da 1000 w (per due finali), uno da 500 w (per le sorgenti analogiche) 100 w (per pc e altro), seguiti da una moltitudine di schede di filtraggio differenziate.

Il risultato sonoro, anche in questo caso è spettacolare per profondità del nero infrastrumentale e per la conseguente emersione del microdettaglio, primo elemento indice di una corrente pulita.

Sembrerebbe tutto risolto allora, sebbene l’esborso economico per entrambe le soluzioni non sia proprio leggero; per non parlare dell’invadenza dell’UPS, che deve necessariamente essere relegato in un’altra stanza per via del rumore generato dalle ventole. Ma anche il filtro a trasformatori non è propriamente invisibile in una sala d’ascolto, sebbene possa passare per un poderosissimo finale stile Krell/Levinson anni 90.

Giunti a questo punto, si direbbe dunque che le insidie della corrente sporca sarebbero terminate. Ma anche no. Purtroppo. Siamo solo entrati in ambiente e mentre nel caso del super-filtro T Audio, abbiamo tante prese per tante elettroniche, nel caso di un UPS a monte e ancor peggio, nel caso di nessun filtro (poiché magari la corrente è stabile, elevata e la si ritiene anche relativamente pulita), dovremo ineluttabilmente sbattere la faccia contro la maggior responsabile di inquinamento elettromagnetico presente in casa, ovvero la multipresa che smista la corrente a tutte le elettroniche dell’impianto audio.

Sei? Otto? Dieci posti? Perfetto! Sei, otto, dieci cavi che si innestano vicinissimi fra loro, convogliando carichi di corrente diversissimi per sorgenti, preamplificatori e finali. Sei, otto, dieci generatori di campi elettromagnetici intersecati come le aree degli insiemi, di scolastica reminiscenza (per usare un’immagine nota a tutti).

Ma quando si parla di multiprese, le ricette sembrano tante e la confusione regna sovrana. 

Quelle filtrate, dal discorso fatto fin qui, dovrebbe essere chiaro a tutti che hanno un valore relativo e possono tamponare macroscopici disturbi digitali ma nulla possono evidentemente contro i disturbi subdoli della rete, quelli che non si sentono a orecchio teso ma che sono responsabili di un suono mai perfettamente naturale e levigato come quello che si ascolta dal vivo; per quel tipo di “abbattimento” e regolarizzazione della corrente, non c’è altra strada da quella più su descritta che passa attraverso importanti filtri di rete.

Quelle non filtrate, infine, dovrebbero essere costruite facendo ricorso a cavi di adeguata capacità, prese di sicura tenuta meccanica, massa a stella e connessioni della migliore conducibilità.

Ma cosa distingue la multipresa oggetto di questa recensione? Portate pazienza e ve lo dirò. Non prima di averne raccontato la genesi, fondamentale per capire qual’è stato l’obiettivo perseguito e magistralmente raggiunto.

Estate 2017, il “Lucignolo nazionale” Alessandro Rosato da Lecce, mio sodale di bravate, intercetta sul gruppo Audiophile Music Club, una testa gloriosa e pensante: tal Maurizio Gelli da Pistoia, inventore e brevettatore di alcune macchine industriali oltreché, piccolo imprenditore metallurgico. Gli affari vanno a rilento, le commesse stentano a ripartire dopo la crisi e il buon Maurizio inganna il tempo, tenendo in allenamento i suoi torni industriali, con una serie diffusori omnidirezionali da esterno, costruiti interamente in metallo.

Nulla di audiophile, s’intende.

Al Lucignolone scatta la molla e messaggia Il Gelli, convincendolo a studiare e realizzare una multipresa che da tanto aveva in mente per il suo impianto, con alcune caratteristiche precise: 1) equidistanza fra tutte le prese, 2) blindatura dei setti divisori, 3) blindatura assoluta della scocca.

Il resto, è quel capolavoro di lavorazione che potete ammirare in queste foto ed è opera intellettuale e manuale di quel matto del Gelli, che aspettava solo un altro folle per dare il LA all’orchestra di neuroni che aveva in testa a sonnecchiare.

Estruso di alluminio come tante altre? Neanche a parlarne. Fusione di alluminio in stampo, nervato sulla circonferenza, per offrire solidità meccanica e design a una spettacolare ruota da 12 kg di peso.

Il condotto dal centro a stella alla presa IEC, è un tunnel scavato nell’alluminio.

Il cappellotto in rame al berillio, a coprire e isolare ulteriormente il centro delle masse a stella, affogate in un nodo in teflon, è tornito da una barra piena, forato con giusti diametri e pressata con i cavi elettrici, in modo da risultare un unico corpo esente da problemi di ossidazione, vita natural durante. I blocchetti in teflon sono ricavati da barra e da lastra e poi lavorati, in modo da ottenere un perfetto bloccaggio meccanico e un’eccellente isolamento, (vedi prova con strumento). La normativa chiede 2000 volt, ma è stata testata a 5000 Volt in piena tranquillità. I blocchetti di rame sono due: nella parte superiore incastrato nel teflon e a sua volta incastrato nel coperchio prese, abbiamo il neutro che prende alimentazione da un cavo che passa dentro il blocchetto di rame della fase. La fase, a sua volta, oltre ad avere 3 strati di isolante, è circondata da un anello di rame che fa da derivazione per la terra delle prese e schermatura del blocchetto “fase”. Tutti i cavi di collegamento alle prese, sono perfettamente uguali, molto corti, molto rigidi per eliminare tutte le vibrazioni del passaggio corrente e con cavetto stagnato e carta stagnola, vengono a loro volta  completamente schermati. Tutti i cavi, vengono mantenuti in perfetta concentricità e rigidità dal blocchetto di teflon incastrato nella lavorazione meccanica del coperchio prese.

Sei spicchi d’arancio equidistanti e blindati da una banda sagomata in teflon e una in piombo.

Coperchio ispezione connesso saldamente con una serie di belle brugole anodizzate.Piedini gommati affogati nella struttura.

Insomma, tutto sommato un gioco da ragazzi costruirsela da soli, se …

A) si ha una fabbrica che lavora il metallo,
B) una che lo fonde,
C) una che realizza gli stampi.
E chi non ce l’ha, al giorno d’oggi?

Ma che fine ha fatto Lucignolo? Dopo il LA, si è ritirato a vita monastica, godendosi di tanto in tanto il suo impianto hi end connesso alla ciabatta. Non frequenta più FB per disintossicarsi (a suo dire) dal web, ma esaurisce il sottoscritto ogni mattina all’ora del caffè, con sempre feconde idee sui massimi sistemi del mondo. Ora è Il Gelli a “pelar la gatta”, con un costo di produzione importante e la speranza di poterne produrre oltre la decina finora realizzate e vendute.

E’ giunto dunque il momento di parlarvi del “NON SUONO” prodotto da questo capolavoro meccanico che ho personalmente ribattezzato LadySound Bunker (riscuotendo l’apprezzamento del Gelli) e che ho voluto premiare con un nuovo logo semioticamente emblematico, prodotto dalla mia agenzia di comunicazione e donato a Maurizio Gelli, sperando porti fortuna alle sue idee e realizzazioni (alcune molto belle già in arrivo).

Il NON SUONO della LadySound Bunker NON è uno scherzo, non una bazzecola né una differenza marginale. Come nelle previsioni di progetto, questa multipresa ragionatissima, produce il NON SUONO che non pensi sia possibile ottenere in un impianto connesso alla rete elettrica.

Connessa, produce il silenzio elettrico …fagocitando il rumore elettrico che non credevo esistesse. 

Con un impianto interamente connesso a un UPS da 3000 w e 50 kg, ho sempre raccontato la mia brillante esperienza col nero infrastrumentale e non ho mai perso occasione di consigliare l’uso di un UPS professionale o di un filtro a trasformatori multipli in ogni occasione, sulla bacheca di Audiophile Music Club. Ma proprio per questo motivo, MAI avrei pensato che una multipresa potesse far tanta differenza con la mia ottima Oehlbach Powerstation 909 preesistente alla LS Bunker.

Il NON RUMORE elettrico è qualcosa di sconvolgente quanto il NON rumore di una sala anecoica. Quello snodo cruciale di cavi d’alimentazione, a due passi dai cavi di segnale e potenza dei diffusori, si rivela come una centrale emittente campi elettromagnetici che incidono fortemente sulla riproduzione, al netto di ogni filtraggio precedente della corrente stessa, semplicemente perché NON fanno lo stesso lavoro di un filtro a monte ma incidono sul fattore meno considerato finora nel trattamento della corrente in hifi, ovvero le mutue, deboli interazioni fra cavi di famiglie diverse (alimentazione, segnale e potenza), della stessa famiglia ma con differente capacità di disturbo (cavi alimentazione dei finali, vs quelli del pre, vs quelli delle sorgenti digitali) e infine con le elettroniche a due passi da questo snodo del traffico elettrico.

La musica galleggia! Non saprei esprimermi diversamente. Sobbolle come l’acqua a fiamma bassa nella pentola, emergendo dal nulla assoluto, senza attacchi all’inizio di ogni soffio di ottone, pizzicato di corda, voce o martelletto percussivo di pianoforte; dal buco nero, nel silenzio che pervade la stanza d’ascolto. Ma provo a spiegarmi meglio, se riesco.

Non si tratta del nero infrastrumentale, che nei miei impianti è già segno distintivo di una cura maniacale delle alimentazioni e dei cavi di tutte e tre le famiglie; parlo dell’assenza di un ulteriore elemento che non credevo esistesse prima di averlo “accoppato” con questa LS Bunker: il rumore della corrente, che non si spiega, non si sente ma si avverte come un senso di irrequietezza durante la riproduzione, che non sai di percepire ma che capisci che c’era solo dopo aver inserito nel sistema questo “generatore meccanico di buco nero”. 

Ascolti il tuo impianto, ti concentri alla ricerca di qualcosa che non avverti; spegni, inserisci la LS Bunker, riaccendi e senti il tuo battito che si scioglie sereno, arrendendosi alla richiesta di abbandono di ogni resistenza muscolare che la musica dal vivo ha il potere di produrre. La quiete del soppresso stress elettromagnetico, che ha un potere deconcentrante ben superiore del soffio delle valvole o della polvere nel solco del disco, poiché questi ultimi sono nettamente nel campo della consapevolezza e non si fatica a dominarli, dopo un minimo di acclimatamento musicale, mentre il primo, è borderline su filo della subcoscienza e dunque sfugge al dominio volontario della mente che non può operarne la cancellazione.

Questa è la mia esperienza espressa con attenzione e consapevolezza della difficoltà di illuminare chiaramente, questa difficile ma appagante sensazione di liberazione dal rumore elettrico.

Non è l’unica, poiché ampiamente condivisa oltre che con Alessandro Rosato, anche e separatamente, con Vincenzo Santoro, fra i miei più critici compagni di merende che l’ha avuta in prova nel suo impianto.

Ma capisco che non si compra un oggetto del genere sulla fiducia, per giunta costoso (poiché complesso da produrre in piccoli numeri annuali) se non si ha un impianto maturo e men che perfetto sulla maggior parte degli altri parametri d’ascolto.

Ma al paziente Maurizio Gelli, ho fatto realizzare una multipresa “demo” che terrò nella sede di Audio Sinapsi, a disposizione di chiunque voglia provarla nel proprio impianto, previa richiesta via mail e invio del proprio corriere al ritiro.

Chi persegue la particella di Dio nell’affascinante mondo dell’Hi End, non lascia mai nulla al caso; trascurare il nodo nevralgico di un sistema che concorre alla magia dell’evento live è, a mio parere, l’errore di valutazione più marchiano che si possa fare, dopo aver deraspato il grappolo, pigiato l’uva, rimosso i semi e non essersi preoccupato di preservare gli aromi e affinarli in botte o acciaio, prima di berne il frutto poggiando il calice sulle labbra, narici aperte a inebriare il cervello.