Paul Bley Gary Peacock Paul Motian – When Will The Blues Leave (CD ECM 2642 774 0423)
Ogni tanto, anzi molto raramente, capita che metti su qualcosa di nuovo e nel giro di tre note, capisci che stai ascoltando qualcosa di evocativo e profondo.
Avevo acceso (con una buona mezz’ora d’anticipo, ovviamente) “lo stereo”, infilato nel cassettino il mio nuovo CD, “Play” e sono uscito spalancando la porta della mia saletta, per giocare al piccolo falegname bastardo quando il pianoforte… mi stoppo e torno indietro, mi piazzo davanti alle “casse” e… non ci credo!
Paul Bley (insieme a sua sorella Carla) a suo tempo fu uno degli artisti più attivi nel promuovere e sviluppare, sperimentare e suonare la cosiddetta New Thing o Jazz informale o Free Jazz o quel che volete.
Insieme a Charlie Haden, sulle orme di Ornette Coleman, di Eric Dolphy ed in contatto con tutto il firmamento di musicisti avidi di libertà personale ed espressiva, sperimentava nuovi linguaggi, nuovi modi di comunicare il jazz, sé stesso, la musica, l’amore.
Oggi Paul è un anziano signore e non più un missile esplorativo lanciato verso lo spazio siderale in cerca di idee, di fortuna quale sfida all’ignoto, l’inconoscibile, l’insondabile.
Oggi Paul Bley è egli stesso un Universo, un impasto di umanità, di sacralità e musica.
Oggi, con la sua esperienza e con la sua maturità, non ha più bisogno di ricercare la verità fra le mille note e gli infiniti silenzi, perché in grado di indicarci le sue tracce, di illuminare un angolo buio della nostra mente.
Oggi la musica di questo trio è quanto di più sintetico e necessario si possa desiderare. Questo album è la prova vivente che il jazz non morirà mai perché vive nelle coscienze.
E vive nelle coscienze perché non è più un’idea ma un pensiero tramandato come la più libera e pazza delle religioni, dove ognuno può veramente diventare il dio si sé stesso.
Chi crea è Dio!
Paul Bley crea e trasforma coi suoi eroi: Gary Peacock al contrabbasso e Paul Motian alla batteria, un nuovo mondo fatto di immagini in diretta dalla sua anima alla mente-cuore-essenza dell’ascoltatore.
Questa musica è jazz ma il suo linguaggio è quantico, vive e viaggia in tutti i tempi, contiene tutte le idee e trasmette la pace.
Questa musica richiede un solo rito d’iniziazione: la conoscenza ovvero il cammino fra le nuvole del jazz fino ad arrivare alla comunicazione astratta ma ancora comprensibile, sempre molto civile, molto umana.
Se ami la musica, il cammino può cominciare anche qui, perché le nuvole non hanno sentieri, né strade e non portano a città né altrove. Le nuvole piacciono ai bambini, ai pazzi ma è lì che gli artisti passano più tempo.
Ogni tanto, anzi molto raramente, capita che metti su qualcosa di nuovo e nel giro di tre note, capisci che l’audiofilia si alimenta più di elucubrazioni e voli pindarici che non di sostanza. When Will The Blues Leaveè uno di questi casi.
E pensare che a massacrare il “mito” fu un fonico svizzero.
Il disco è targato ECM, è vero, ma questa volta Manfred Eicher non c’entra nulla.
Tutto il merito del risultato sbalorditivo va al signor Werner Walter, un geniale fonico della televisione svizzera, che la sera del marzo 1999, nell’aula magna STS di Trevano compì il miracolo sonoro di questo CD.
Non è un mistero che io prediliga l’ascolto di sorgenti analogiche ma mi inchino al suono levigato, corposo ed allo stesso tempo agile e ricco di questo dischetto.
Quando sentii il pianoforte suonare: grande, pesante ed allo stesso tempo rapido e ricco di armoniche che persistenti galleggiano in aria, tutto l’aspetto tecnico dell’high end passa in secondo ordine.
E poi senti la batteria, il contrabbasso e rincretinisci e dici: “Ma è vera! Senti i tamburi, le pelli e la grancassa; non la smette più di vibrare e diffondere armoniche a frequenza bassissima.
E i piatti? Quanta luminosità, che presenza e che raffinatezza. Il contrabbasso, senti come vibra il legno e le corde…”.
Ma il bello e l’artistico in questa ripresa è che la mente si concentra automaticamente solo sulla musica nel suo insieme, senza distrarsi con i dettagli, né col soundstage iperfocalizzato (comunque ben largo ed arioso) e neanche con la dinamica (esplosiva quando serve ma sempre in modo naturale).
Tutto accade in modo estremamente semplice, ovvio, quasi casuale.
Il disco finisce e si schiaccia nuovamente. Perché questa musica è come quelle belle persone con cui si sta bene insieme ma un po’ enigmatiche, che si ha voglia di rivedere presto.
E perché When Will The Blues Leave è davvero buona musica, e la buona musica fa bene al cuore.
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