La sinfonia n. 6 in Si minore“Patetica” di Tchaikovsky in tre diverse interpretazioni: Mravinskij, Karajan, Petrenko. Un confronto diretto per valutarne pregi e difetti.
Ho cercato, per quanto possibile, di tralasciare l’aspetto puramente sonico, soffermandomi solo sull’interpretazione musicale della partitura.
Premetto che non è stato semplice in quanto, alcuni rilievi, soprattutto dinamici, possono dipendere da scelte compiute in sede di registrazione (posizionamento microfoni, missaggio, ambiente).
Evgenij Mravinskij– Orchestra di Leningrado (1961).
Trasuda e profuma di Russia in ogni suo tratto
I tempo: L’Adagio è lugubre, misterioso, affascinante; l’orchestra sprofonda nelle note più gravi e l’amalgama strumentale è perfetto.
L’allegro vivo risulta probabilmente un po’ troppo “vivo” ma, non avendo riferimenti metronomici, potrebbe essere anche accettabile.
II tempo: il famoso 5/4 è ben scandito dal fraseggio limpido, chiaro, cristallino, con respiri studiati.
Non accentua eccessivamente la divisione naturale in 2+3 anzi Mravinskij fa scorrere il tema come un fiume che incede lento.
III tempo: bellissimo il detachè degli archi, quasi graffiato con tempo metronomico incalzante ma, a mio parere, troppo veloce. Si ha l’impressione che, in alcuni punti, i legni non riescano a tenere il passo.
IV tempo: definirlo perfetto è poco. C’è tutto! E’ sicuramente il miglior quarto tempo a confronto con le altre due versioni.
Sgorga drammaticità ad ogni tratto. Le dinamiche con crescendi e diminuendi nascono da una scelta ponderata del direttore, non essendo tutte indicate in partitura.
Una libertà interpretativa intelligente che nasce da una profonda conoscenza dell’opera.
Unico neo: la prima tromba dell’orchestra di Leningrado, in tutta la sinfonia, è eccessiva nei volumi e troppo presente al punto da coprire le parti fraseologiche degli archi.
Inoltre si nota un vibrato fastidioso, quasi da strumento bandistico. Stranamente un “difetto” sottovalutato.
Herbert Von Karajan-Berliner Philharmoniker (1979)
Perfetto nella lettura della partitura (forse troppo)
I tempo- Karajan è noto per la sua esasperante pignoleria; infatti, nell’ affrontare la direzione della “Patetica”, non smentisce la sua fama. Tempi perfetti (si vociferava che avesse un metronomo piantato nel cervello) con pochissime concessioni al “rubato” o al “rallentando”.
L’allegro vivo non eccede in velocità, permettendo agli archi un tremolo più aggressivo. Le variazioni dinamiche sono controllate senza eccedere in facili effetti “romantici”.
II tempo- anche in questa versione il 5/4 è fluido, elegante e quasi distrae l’ascoltatore dal carattere drammatico dell’intera sinfonia. Il 2+3 è evidente nell’accentuazione ma non fastidioso.
Gli archi dispiegano con eleganza il tema dominante con il resto dell’orchestra che sostiene armonicamente la melodia.
III tempo- poco aggressivo; archi sulla corda; legni precisi. Velocità sostenuta ma non esasperata.
Scelta condivisibile in quanto il rischio di accavallare note eccessivamente veloci farebbe perdere chiarezza e precisione esecutiva.
Perfetto nel reggere la medesima velocità dall’inizio alla fine ( sarà vera la leggenda del metronomo mentale!). Tra le tre versioni è la più riuscita.
IV tempo- Karajan, da austriaco tutto d’un pezzo, non si lascia coinvolgere più di tanto dal testamento funerario di Tchaikovsky.
Affronta la partitura con freddezza rispettando pedissequamente le indicazioni dell’autore.
Ben costruito ma poco attrattivo su un tempo conclusivo che doveva evidenziare il dramma interiore del compositore di San Pietroburgo.
Resta, nonostante tutto, una delle versioni più accreditate, pur accusando aspetti interpretativi poco convincenti.
Kirill Petrenko-Berliner Philharmoniker (2017)
La versione “Normale”
I tempo: L’adagio è ben impostato ma con eccessive accentuazioni ad ogni apice tematico. In realtà il crescendo non prevede, a fine frase una strappata in sforzando.
Libertà poco gradita. Col procedere, l’adagio si trasforma inaspettatamente in un allegro. Era preferibile un andamento più riflessivo, uno svolgimento tematico allargato, dilatato.
L’allegro, al contrario, incede con la giusta velocità. Da ricordare che il termine di andamento “ALLEGRO” non è un “PRESTO” cioè eccessivamente veloce. Qui Petrenko inquadra bene lo spazio-tempo sonoro.
II tempo: Rispetto alle due versioni, il secondo tempo è leggermente più veloce. E’ un’inezia ma cambia profondamente il senso ritmico del 5/4.
E’ da considerarsi quasi una forma di danza, ricorda nell’incedere il valzer (in3) nonostante il tempo irregolare. Sarebbe stato più consono un tempo di poco più lento.
III tempo: I Berliner mostrano tutta la loro maestria nel terzo tempo della Patetica. Staccato meraviglioso degli archi, senza eccedere nel detachè. Ottima la scelta del direttore nell’evidenziare le diverse risposte tematiche dei fiati.
Non eccessivamente veloce l’impostazione metronomica che ritengo totalmente condivisibile. Petrenko mostra ottimo controllo ritmico, qui particolarmente necessario.
IV tempo: il meno riuscito. Non convince affatto. Nonostante la bravura indiscussa dei Berliner, l’emozione che dovrebbe trasmettere è assente. Le grandi pause sono eccessive, interrompendo l’incedere dei temi.
Il tempo, da lento, si trasforma man mano in un moderato senza alcuna ragione logica. Petrenko sembra impossibilitato nel comunicare la passionalità e la drammaticità di questa meravigliosa chiusura dell’opera. Peccato!
Bisogna precisare che Petrenko ha avuto il grande vantaggio di usufruire di mezzi tecnologici moderni e all’avanguardia, oltre ai migliori fonici disponibili sul mercato.
Dopo la rottura con la Deutche Grammophon, I Berliner si sono dotati di mezzi propri per la registrazione e i risultati sono evidenti. Gli audiofili più incalliti troveranno in questa versione la massima espressione della riproduzione digitale.
Qual è la versione migliore tra le tre su esposte? Mi verrebbe facile decretare quale vincitore Mravinskij, ma ammetto che parte del mio giudizio nasce dal gusto personale, nonché dalla mia “forma mentis” di musicista navigato.
Sicuramente la battaglia con Karajan è infinita, dove ogni fruitore può apprezzare, l’uno o l’altro direttore. Petrenko arranca e non regge il confronto con i due giganti ma, come già detto, la sua interpretazione eccelle per spettacolarità.
Sul mercato discografico esistono centinaia di versioni della sesta sinfonia ma la mia scelta è ricaduta su di loro per motivi cronologici e per diversa formazione musicale dei tre direttori.
Il fascino della musica classica è anche questo: le note sono sempre le stesse ma il modo di interpretarle è infinito.
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