ESSERE AUDIOFILO (capitolo 2): ASCOLTI O MISURE?

La domanda in titolo è volutamente posta alla maniera dei cretinetti: “vuoi più bene alla mamma o al papà?” 

L’audiofilia è insieme figlia della scienza e della passione per la buona musica ben riprodotta, quindi sono necessari sia papà ascolto che mamma misura. 

Ovvio? Mica tanto!

Concludevo il mio primo articolo (https://www.audiosinapsi.it/audiophile-music-club/racconti-audiofili/essere-audiofilo/) dedicato alla passione audiofila con questa provocazione: “spegnete i tecnici! Non date loro retta!

La maggior parte di essi pretendono di farvi vedere con i loro occhi quello che soltanto voi potete ascoltare con le vostre orecchie”.

Noi tutti ben sappiamo che è impensabile costruire qualsiasi cosa senza almeno un minimo d’impostazione scientifica. Anche il solo segare una tavola richiede che le misure vengano prese accuratamente, per la riuscita di un lavoro ben fatto e senza sprechi.

Quindi l’audiofilo esiste perché tecnici specializzati in campo audio si occupano da sempre di progettare, costruire e apportare continui e costanti miglioramenti alle prestazioni di ogni singolo componente.

Ringrazio dunque i progettisti, che sanno trovare soluzioni nuove e creative per rendere l’ascolto della musica un’esperienza sempre più immersiva, totalizzante ed emozionante.

Grazie ai costruttori, che sanno interpretare e concretizzare le idee dei progettisti, rendendole spesso oggetti di design, nella speranza di passare indenni l’esame estetico dell’angelo del focolare.

Un sentito grazie ai bravi tecnici riparatori, che sanno risolvere le anomalie più disparate delle nostre amate elettroniche, qualche volta addirittura migliorandole.

E infine grazie anche a quei tecnici mediocri che con il loro scetticismo, invero spesso irritante e fuori luogo, qualche volta ci fanno dubitare dei nostri sensi.

L’approccio scientifico, questo sconosciuto. Come funziona la scienza?

Da quanto ho potuto constatare, grazie ai forum prima e ai gruppi Facebook in seguito, molti fra quelli che si professano tecnici non hanno la minima idea di come funziona la scienza. Rinfresco “sinteticissimamente” la memoria a coloro ai quali fosse sfuggito il semplice e millenario metodo scientifico: una persona osserva un fenomeno fisico, lo studia cercando di comprenderlo e formula una sua teoria.

Questa teoria viene condivisa, divulgata e pubblicata all’interno della comunità scientifica (ad es. su piattaforme come The Lancet).

Altre persone si interessano a quella pubblicazione e prendono a studiare indipendentemente lo stesso fenomeno, lo sperimentano, lo approfondiscono, si fanno una loro idea, che può essere più o meno aderente all’ipotesi iniziale, la dibattono e producono una nuova teoria, divulgandola a loro volta.

Spesso capita che l’iniziatore di uno studio importante poi non sia lui stesso a fare la scoperta decisiva. È così che il fu inventata la ruota; che Galileo Galilei dimostrò che la terra gira; che Alessandro Volta inventò la pila; che grazie al team di Edison è possibile ascoltare musica riprodotta sin dal 1878; che Federico Faggin inventò l’Intel 4004, il primo microprocessore al mondo (in campo industriale e militare la divulgazione è intesa all’interno del gruppo di lavoro).

Naturalmente i fenomeni scoperti, osservati, studiati, approfonditi e dibattuti comprendono tutto lo scibile umano. 

Tutto questo per alcune care bestiole del web non esiste. Per loro, progettisti come Nelson Pass o Dan D’Agostino, tanto per fare due nomi ultra noti in ambito Hi-Fi, non ascoltano mai le loro creazioni ma le calcolano, le assemblano e le smanettano finché queste non esibiscono misure bellissime per gli occhi e rassicuranti per la psiche, senza mai ascoltarle, perché “un tale personaggio mica si abbassa a trastullarsi coi file audio, coi CD o peggio con quei bacucchi degli LP”. 

(Devo dire però che talvolta mi sorge il dubbio che qualche aggeggio di gran blasone, dal costo non trascurabile, sia mai stato ascoltato da qualcuno prima di essere immesso sul mercato).

A proposito di sensi

Come ben sappiamo ogni specie vivente è dotata di sensi specializzati, per il tipo di ruolo che ricopre all’interno del proprio ecosistema.

Ecco… noi esseri umani quale ruolo ricopriamo all’interno della Natura, dal momento che siamo ovunque dai poli all’equatore e non si sa bene a far cosa?

Secondo me fummo creati per vivere la bellezza (però a un certo punto qualcosa dev’essere andato storto…), perché la bellezza è ovunque intorno a noi, sotto moltissime forme, alcune anche create dall’uomo.

Ce ne sono di materiali come l’architettura, la scultura, la pittura e immateriali, come la musica e sua sorella, la danza.

Come si crea la musica? 

Si prende un musicista e lo si fa innamorare oppure gli si rompono le scatole fin quando lo facciamo disperare, così prende finalmente a comporre il suo dramma interiore. Scherzo ovviamente.

In qualsiasi modo e con qualsiasi metodo la musica venga immaginata sarà sempre con il senso dell’udito che verrà rifinita, perfezionata e infine approvata (benvenuti alla sagra delle ovvietà).

Lo so state pensando a Beethoven, vero? Lui non nacque sordo, quindi poteva comporre perché conosceva perfettamente non solo la musica ma i timbri e le dinamiche di tutti gli strumenti.

Quando rifletto sull’immenso Ludwig mi chiedo quale urgenza possa avere avuto nel comporre quelle sue ultime opere immortali, senza poterle mai ascoltare? Forse l’abitudine. Forse l’attitudine. O forse fu un’energia misteriosa a far esondare la sua creatività già debordante? E come ci riusciva?

Beh, abbiamo una risposta: il suo cervello aveva memorizzato tutto della musica e di ogni strumento, di ogni gesto dei musicisti e di ogni loro respiro, di ogni suono e di ogni più piccola armonica vagante. Questo fenomeno ha un nome, si chiama: abilità acquisita. Nessun segreto.

Cosa succede quando si canta o si suona uno strumento musicale?

Secondo le ricerche condotte dalla dottoressa Alice Mado Proverbio* e del team internazionale di cui fa parte, le persone che da professionisti suonano o cantano o fanno entrambe le cose, sviluppano il proprio cervello più dei non musicisti. Il fenomeno è più evidente in chi comincia a studiare la musica fra i tre e i sette anni.

Quando un artista canta o suona, il suo cervello attiva delle aree ben precise. L’estensione di dette aree sono direttamente proporzionali all’esperienza e all’abilità del musicista/cantante.

Quando ai musicisti sotto test è stata fatta ascoltare della musica, il loro cervello si è attivato come se stessero suonando essi stessi. È avvenuto lo stesso identico fenomeno quando ad alcuni pianisti è stato chiesto di leggere o di ripassare a memoria o solo di diteggiare uno spartito.

Ecco spiegato perché il non udente eroico compositore tedesco poteva produrre musica, anche senza percepire alcun suono.

Come stanno le cose per noi umili ascoltatori? 

Beh, ovviamente anche il cervello dei non musicisti attiva alcune delle stesse aree dei professionisti, ma in scala molto ridotta.

La buona notizia è che anche noi naive acquisiamo delle competenze ascoltando musica dal vivo e riprodotta. Questo spiega perché le persone allenate all’ascolto della musica percepiscono facilmente tutti gli strumenti, arpa e triangolo compresi, durante l’esecuzione di un pieno orchestrale, ma anche variazioni di suono in un impianto ad alta fedeltà, quando in esso viene introdotta una modifica.

La notizia è che un appassionato di musica, abituato ai concerti dal vivo e alla musica ben riprodotta, sa riconoscere facilmente un componente su base squisitamente qualitativa, cosa che nessun set di misura al mondo potrà mai fare al suo posto.

Alcuni tecnici e scettici contestano a noi audiofili le abilità sopra descritte, perché loro non credono che l’orecchio umano possa percepire quanto dichiariamo, bollando la nostra abilità come illusione o autosuggestione. 

L’errore più grande che commettono i polemici è il non voler vivere loro stessi l’esperienza dell’ascolto critico, disconoscendo il proprio senso dell’udito, lasciando così che il proprio giudizio si formi esclusivamente sui freddi numeri o grafici rilevati dai loro strumenti, dimenticando che ciò che loro vedono sono esclusivamente quantità, che niente possono rivelare riguardo la qualità del suono del componente misurato.

Questo è un fenomeno unico e innaturale, esistente solo in ambito hi-fi. Peccato, perché rifiutandosi di usare come strumento d’analisi anche quel complesso e sensibile apparato che è l’udito, costoro rinunciano ad una parte fondamentale della loro esperienza umana. 

Ascolto in doppio cieco

Quello in titolo è uno dei tanti falsi miti legati all’audiofilia.

Il “doppio cieco” è un esperimento d’uso comune in ambito medico scientifico, riporto testualmente dal sito della casa farmaceutica Roche: “in uno studio in doppio cieco, oltre i pazienti anche gli sperimentatori/medici non sanno fino alla fine della sperimentazione stessa a quali pazienti è somministrato il trattamento. In questo modo si prevengono pregiudizi e aspettative da parte dei pazienti e dei medici e ricercatori”.

La domanda è: come implementare in modo altrettanto rigoroso e attendibile un test del genere in ambito Hi-Fi? Per me le difficoltà sono enormi, anzi insormontabili: 

  1. Bisogna trovare una sede neutra, dall’acustica corretta; installare l’impianto di riferimento nascondendolo alla vista dei tester;
  • Decidere quale impianto utilizzare come riferimento e con quali componenti. Se a valvole useremo triodi, tetrodi a fascio o pentodi e in quale configurazione? Se a stato solido useremo transistor o mosfet? E quale tipologia di caricamento per i diffusori? Dipoli? Baffle infinito? Sospensione pneumatica? Reflex? Doppio reflex a carico asimmetrico? Linea di trasmissione? Tromba? Monovia? Multivia? A bassa o alta efficienza?
  • Arruolare persone “prese a caso dalla strada”, che invisibilmente e molto velocemente sostituiscano i campioni in prova e curino la diffusione delle musiche scelte per i test.
  • Arruolare non audiofili di tutte le età, estrazione sociale e culturale quali tester.

Come si intuisce, alla prova in doppio cieco non possono partecipare né scettici, né impallinati, perché “contaminati” dal bias audiofilo/scettico e soggetti pure all’effetto monitoring, quindi il giudizio finale verrebbe affidato a persone che se ascoltano musica, nella maggioranza dei casi, lo fanno attraverso il cellulare, da speaker bluetooth portatili, da computer o dalla radio in macchina.

E comunque resterebbe il dubbio riguardo l’attendibilità della difficile e specifica prova affidata alla gente comune.

Non dimentichiamoci che negli anni ‘90 le migliaia di persone che presero parte ad un test di confronto “in cieco”, organizzato da Amar Bose, preferirono il suo nuovo e coloratissimo sistema “Acoustimass” (composto da satelliti e sub) ad un sistema Hi-Fi serio.

Certo, potremmo misurare i suoni che fuoriescono di volta in volta da sotto al velo che nasconde l’impianto, magari illudendoci di una qualche oggettività qualitativa, ma l’alta fedeltà è ascolto finalizzato al piacere, infatti i test a “orecchie nude” servono a stabilire quale componente ci avvicina di più al godimento, prima ancora della “verità sonora”, qualunque sia l’esito delle misure ottenute.

Se finalmente è tutto chiaro salmodiando ripetiamo insieme e diciamo: l’impianto Hi-Fi agli audiofili serve solo per ascoltare qualitativamente al meglio la musica, al fine di ottenere il massimo coinvolgimento emotivo possibile, come dal vivo.

Perché è dal vivo che si sperimenta l’interazione fra tutti i sensi e la musica nello stesso momento in cui gli artisti la suonano per noi. L’alta fedeltà serve solo a farci rivivere a casa le stesse (o accettabilmente simili) sensazioni vissute al concerto. Le sensazioni emotive non sono ancora misurabili strumentalmente dai tecnici audio.

Le differenze fra un componente e l’altro, cavi compresi, esistono e sono udibili! Facciamocene subito una ragione e vivremo tutti più tranquilli.

La sola cosa che dico per esperienza sia diretta che indiretta è che: all’ascolto alcuni oggetti mostrano immediatamente la loro personalità sonora, altri invece la rivelano più definitamente dopo ascolti prolungati.

In ogni caso per capire se il nuovo “invitato” nella propria catena di riproduzione è esattamente ciò di cui abbiamo bisogno, occorrono settimane di rilassata convivenza.

E arrendiamoci all’idea che è sempre e comunque il cervello a scegliere il componente che più lo convince, perché è il cervello a confrontare, grazie alle sue competenze acquisite, l’emozione dell’esperienza dal vivo con l’esperienza in corso e a far propendere verso un apparato piuttosto che un altro, verso un cavo piuttosto che un altro e così via. 

Tutto il resto è pura paranoia!

Cari amici scettici avete ragione anche voi ma solo a metà.

Per valutare la qualità di un impianto o di un suo componente non bisogna essere pipistrelli o direttori d’orchestra e nemmeno “facilmente influenzabili”, ma solo allenati e aperti, più che esperti.

Il cervello durante l’arco di tutta la sua vita, indipendentemente dalla nostra volontà, continua a imparare e ad acquisire competenze, anche in ambito di musica riprodotta. Infatti è famosa nell’ambiente audiofilo (al netto di qualche anima in pena) l’esigenza di cambiare un componente di tanto in tanto, perché non ci soddisfa più.

Ciò avviene quasi sempre per un salto culturale, dopo il quale scopriamo che il suono del nostro sistema va corretto, aggiornato, migliorato ovvero reso più credibile, più realistico o anche “solo” più piacevole  (Hi-Fi o My-Fi? Ne riparleremo). 

L’altra faccia della medaglia, quella più triste, è l’imbarazzante prestazione – quasi sempre per problemi ambientali o per sciatteria dell’audiofilo – di alcune installazioni Hi-End da decine di migliaia di Euro esposte nelle fiere, nelle case di alcuni appassionati e persino in qualche negozio.

Sono queste esperienze che rendono ridicoli gli audiofili agli occhi e le orecchie degli scettici. Possiamo dar loro torto su questo punto? No! Perché anche io qualche volta sono stato sciatto oppure ho ceduto alle insistenze di amici, che hanno voluto ascoltare l’impianto quando non era ancora a punto.

Ascolti e Abbassamento della Capacità Uditiva

Altro argomento completamente idiota degli audioscettici è quello riguardante la scarsa estensione dell’udito delle persone al di sopra dei quarant’anni, in relazione all’ascolto della musica riprodotta.

La loro fissazione riguarda il calo della prestazione uditiva in generale e quella in alta frequenza in particolare. 

Quando l’età causa un normale abbassamento dell’udito allora l’interessato dovrà semplicemente agire sul controllo del volume, in ragione inversamente proporzionale al calo percepito. 

E il primo problema è risolto!

Per le alte frequenze come la mettiamo? 

Alcuni pazzerelli sono arrivati a ipotizzare la rimozione dei tweeter dai diffusori che tanto “uno come me non se ne accorge nemmeno” (storia vera). 

Questa gente non sa che un tweeter, per esempio tagliato a 4000 Hertz, riproduce perfettamente anche parte del contrabbasso oltre che di tutti gli altri strumenti che l’uomo ha creato, con moltissime delle loro armoniche che, a dispetto dell’età, sono tutte udibili, se non vi sono gravi deficit uditivi o patologie in atto a carico dell’apparato uditivo.

Ciò avviene perché ancora una volta il nostro amico/nemico cervello (anche quello di un non esperto) ci viene in soccorso e, sulla base delle sue esperienze, ricostruirà perfettamente ciò che l’orecchio sembra non percepire.

È salutare, e spero utile, ricordare che la musica nacque quando il suono non si poteva misurare in nessun modo, se non a orecchio. Fu in quel periodo che nacquero strumenti musicali fra i più complessi come per esempio l’organo a canne; il clavicembalo; il fortepiano prima e il pianoforte dopo; gli strumenti a corda e a fiato.

E, si badi bene, non si trattava di strumenti raffazzonati, dal suono approssimativo ma di veri ed eterni capolavori dell’ingegno umano, come quelli realizzati per esempio da Ctesibio di Alessandria, Stradivari, Cristofori, senza dimenticare che la tromba naturale esiste da un paio di millenni e come strumento musicale puro si usa da almeno cinque secoli. 

Ma allora le misure servono o no?

Assolutamente sì! Certo che sì! Come si potrebbe farne a meno?

Le misure sono indispensabili durante la progettazione e lo sviluppo di un prodotto; sono necessarie per la risoluzione di guasti o revisione di un apparecchio, quindi per controllare, ripristinare e tarare i suoi parametri di funzionamento, riportandoli alle impostazioni originali di fabbrica.

Alcune riviste del settore eseguono diligenti misure sugli apparati da recensire. Ed è sempre interessante constatare quanto esse siano importanti e rivelatrici della bontà dei vari oggetti sul mercato, ma non esaustive ai fini del giudizio sonoro, perché il quadro completo delle sue doti “artistiche” alla fine lo può rendere solo la prova d’ascolto.

Correlazione tra Suono e Misure. Parliamo di Cavi 

Volevate le misure? Eccovene una valanga!

Su questo argomento non spenderò neanche una parola in favore dell’ascolto ma solo delle misure.

Assunto: in un buon impianto tutti i cavi audio, compresi quelli di alimentazione, apportano una variazione di suono udibile da chiunque.

Siccome quel fenomeno è percepibile attraverso i sensi allora dovrà per forza essere possibile rilevarlo e misurarlo anche strumentalmente, perché è così che funziona la scienza.

Cosa fanno invece alcuni misuristi? Passano la vita irridere gli audiofili sui social, esponendo paludosi scetticismi da osteria del medio evo.

Cosa fanno invece le persone curiose e quindi intelligenti? Cose incredibili, mai viste prima. UDITE UDITE: misurano i tanto discussi cavi e ne pubblicano i risultati!

Qui sotto vi sono tre link da visitare per credere.

Il primo è di un video realizzato dal bravo e noto youtuber Gianluca Bocci, che ascolta un set della italiana Ricable e lo misura, non in maniera approfondita ma comunque molto efficace e rappresentativa, traendo le sue interessanti e pertinenti conclusioni.

Il secondo e terzo link fanno riferimento ad una mega prova di ascolto e di misure molto approfondite, rispettivamente su cavi di segnale e su cavi di potenza.

Adesso non avete più scuse cari cavoscettici (o cavotristi, come simpaticamente vi definisce qualcuno): le differenze tra i vari cavi oggi sono documentate anche strumentalmente, quindi non vi resta che leggere.

Non avete più scuse! 

Gianluca Bocci – https://www.youtube.com/watch?v=DaLzU9J37Lg

Alpha Audio – https://youtu.be/8wVnURAckLI?si=3rWOdLLycJviSxRV

Alpha Audio – https://youtu.be/2kb5h1XIb-Y?si=kZlZRomXhi090_2_

(Chi non ha pratica con la lingua inglese può usare il traduttore di Google).

Conclusioni

Le misure e gli ascolti sono strettamente e indissolubilmente interconnessi. Il dissidio nasce quando chi ha solo conoscenze tecniche invade il campo di chi ha solo competenze uditive e viceversa.

Secondo me le sole misurazioni per le quali vale la pena spendere dei soldi è quella dell’ambiente d’ascolto, al fine di correggerne l’acustica attraverso il trattamento mirato, evitando così che l’intervento delle riflessioni, delle onde stazionarie, dei wall-dip etc. vanifichino il nostro impegno economico e culturale.

Perché non c’è niente di più avvilente, nella nostra passione, che ascoltare musica da un impianto dalle enormi potenzialità, mortificato nelle sue prestazioni da una stanza acusticamente inadeguata.

*Alice Mado Proverbio è neuropsicologa delle neuroscienze cognitive, 

 autrice del libro: Neuroscienze cognitive della musica. Il cervello musicale  tra arte e scienza