6 gennaio 1999: 25 anni fa ci lasciava, in una fredda notte d’inizio anno a New York, Michel Petrucciani.
Un corpo “imprevisto” che racchiudeva un gigante della musica, un simbolo di volontà e comunicatività, la volontà ferrea di chi aveva deciso di non lasciarsi sopraffare da una natura apparentemente menomata e la comunicatività di chi, cresciuto nella musica, aveva fatto della propria vita un veicolo per trasmetterla agli altri.
Per chi ha avuto la fortuna di vederlo e sentirlo dal vivo, resta il ricordo indelebile del contrasto tra la natura minuta della sua figura e la grandezza della sua musica, che si prodigava con tutte le proprie forze di far uscire dal pianoforte, arrivando a fine concerto stremato eppur sempre sorridente.
Forte di una mano sinistra come poche nella storia del jazz, dotata di una incredibile forza percussiva ed una straordinaria articolazione delle dita, lunghissime anche se molto fragili, ed una mano destra in grado di sviluppare linee melodiche ardite e struggenti.
Le sue incisioni, non poche comunque per una carriera ed una vita così brevi, possono essere segnate senz’altro da una vistosa linea di demarcazione.
Nel 1993 entrò, già da fuoriclasse, nella scuderia dell’etichetta francese Dreyfus Jazz, il cui patron Francis Dreyfus aveva idee molto chiare sulla libertà espressiva da lasciare ai propri artisti: amplissima e guidata solo da lontano, con saggezza.
Il suo stile espressivo non è mai cambiato in modo radicale, dagli inizi alla fase finale delle sue registrazioni, ma l’impressione netta per l’ascoltatore è che in Dreyfus Jazz godesse finalmente di quell’autonomia, piena, di modulare la cifra della sua espressione musicale secondo la sensibilità del momento e del contesto.
E così, anche se il suo talento appare già cristallino anche in album risalenti come quelli registrati nei primi anni in Francia ed esplose nella lunga parentesi americana di vita e di incisioni (con Blue Note Records – alcune delle quali in effetti non imperdibili), è nelle registrazioni dell’era Dreyfus Jazz che ci ha lasciato un vero tesoro.
A partire dall’indimenticabile doppio album tratto dal concerto in duo con l’organo di Eddy Louiss nel 1994, sfida di percussività e di acrobazie melodiche tra i due: imperdibile l’ascolto di Les Grelots (Vol. 1) e, dal Vol. 2, degli standard Autumn Leaves, nella cui parte finale il dialogo tra l’armonia bassa dell’organo e i registri alti del pianoforte rimette in pace con il mondo, e Summertime, oggetto di una rilettura per la timbrica combinata dei due strumenti che stupisce per intensità e chiarezza di idee dei due protagonisti.
È poi nei concerti per piano solo che Petrucciani, liberando una energia inesauribile, ha donato agli ascoltatori un flusso portentoso di espressività, senza però mai perdere il contatto con il tracciato armonico del pezzo e lasciarsi alla più libera improvvisazione, come avvenuto per il maestro del genere Keith Jarrett.
È così nel concerto registrato al Teatro degli Champs Élysées, uscito in doppio album per Dreyfus Jazz nel 1997, del quale è comunque difficile fare una selezione: forse, scegliendo solo un pezzo e non il potente medley iniziale, Night Sun In Blois racchiude al meglio la sintesi tra acrobazie melodiche e dolcezza di un blue mood, con venature à la McCoy Tyner.
Per chiudere con un concerto di rara lucidità, il piano solo nell’edizione del triplo cofanetto postumo uscito con Dreyfus nel 2000, nel quale spicca, ancora una volta, Autumn Leaves, in cui raccoglie l’eredità di Oscar Peterson ed Errol Garner e ne ricombina linee e ritmi per un virtuosismo senza sosta, ed anche uno dei suoi cavalli di battaglia, Besame Mucho, qui in una versione diversa dalle altre registrate in precedenza, con un lunghissimo climax e una coda di rara intensità.
Si potrebbero mettere in fila almeno altri cento brani da ascoltare in sequenza, e di sicuro sarebbe tempo ben speso. Forse un’unica ombra, la decisione di Petrucciani di non registrare più Estate di Bruno Martino, a lungo suonata in gioventù, brano di assoluta bellezza di cui avrebbe potuto in età adulta regalarci riletture indimenticabili.
E ciò anche se, di recente, abbiamo potuto apprezzarne un nuovo ascolto nell’uscita del 2022, Solo in Denmark, per Storyville Records: si tratta infatti della registrazione di un concerto del 1990, senza dubbio pregevole ma in cui non si avverte ancora quella libertà che apparirà compiutamente solo negli anni successivi al passaggio in Dreyfus Jazz.
Resta in ogni caso la sensazione di inesauribile vitalità che Petrucciani ha saputo trasmettere in ogni occasione in cui ha appoggiato le mani sul suo Steinway, che alcuni di noi hanno avuto la fortuna di vedere e ascoltare dal vivo, e che grazie anche a Francis Dreyfus tutti hanno la fortuna di poter ascoltare e riascoltare per gli anni a venire.
Minimal playlist Michel Petrucciani per Dreyfus Jazz:
- Conférence de presse (1994), Vol. 1 – Les Grelots
- Conférence de presse (1995), Vol. 2 – Autumn Leaves
- Conférence de presse (1995), Vol. 2 – Summertime
- Au Théatre des Champs Élysées (1997) – Night Sun In Blois
- Concerts Inedits – Vol. 1 – Solo (2000) – Autumn Leaves
- Concerts Inedits – Vol. 1 – Solo (2000) – Besame Mucho
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