Apotema! Perchè quel che suona è la corrente. 

Ho decennali indizi che mi portano a pensare che, a due “audiofili” su tre, questo sacrosanto principio sfugga completamente. 

Conferma di questo mio sospetto è data dal fatto che la maggior parte degli audiofili di mia conoscenza è disposta a spendere cifre anche importanti per una nuova elettronica o una nuova coppia di diffusori acustici ma trascura completamente la propria “linea” elettrica e quel che la stessa trasporta, ossia il carburante del proprio impianto, letteralmente fregandosene (beati loro) della qualità della corrente che il gestore del servizio elettrico sta erogando e di cosa si potrebbe fare per migliorarla. 

Io invece ho combattuto (o meglio, ho cercato di combattere) per anni contro i numerosi difetti della corrente che ha alimentato le elettroniche che si sono alternate nella mia abitazione. 

In principio fu il condizionamento e la stabilizzazione. 

Oltre vent’anni orsono provai con i primi condizionatori/stabilizzatori elettromeccanici cinesi (Dianxing se non erro, o qualcosa di simile…) che arrivarono sul suolo italico, ma dopo i primi entusiasmi mi resi conto che i vantaggi che davano in termini di stabilizzazione della corrente venivano azzerati e superati dagli svantaggi dovuti alla loro scarsa qualità in termini di condizionamento.

Senza farvi perder tempo in inutili descrizioni…ammazzavano letteralmente la dinamica e quindi nel giro di poco tempo le nostre strade si separarono.

Poi fu la volta dei cavi di alimentazione, e la mi si aprì un nuovo mondo davanti nel momento in cui mi accorsi quanto il cablaggio degli ultimi due metri potesse migliorare la qualità del suono riprodotto.

Un cavo però, anche se ottimo, è insufficiente ad arginare il fiume di “sporcizia” che arriva con e dalla rete elettrica. 

Il vero salto di qualità in questa donchisciottiana disfida lo feci con l’arrivo in casa dei diffusori elettrostatici, le mitiche Quad ESL 2905, che avevano estremo bisogno di una alimentazione pulita e soprattutto “sicura”. 

E fu la volta di un UPS a doppia conversione on line da 3kw che cambiò letteralmente (in meglio) il  90% delle mie sedute di ascolto.

Restava però insuperabile la qualità degli ascolti che effettuavo senza UPS nelle rare volte (durante i notturni festivi) in cui la corrente arrivava stabile e priva di spurie, spikes ed altri difetti che da sempre hanno afflitto la mia linea di alimentazione, motivo per il quale, una volta vendute le Quad, decisi di eliminare anche l’UPS e di ascoltare senza alcun tipo di condizionamento della rete.  

Ma il tarlo dell’audiofilo è silentemente onnipresente, e non riesce a star fermo….

Una grande miglioria nella cura della rete elettrica l’ho infatti poi ottenuta cablando la linea dedicata all’impianto con un cavo multifilare in rame da 6mm proveniente direttamente dal contatore ma, e soprattutto, inserendo a monte della catena la multipresa Ladysound, una mia idea sviluppata e realizzata del bravissimo Maurizio Gelli, della quale Carlo Elia ha già decantato i pregi in una recensione di qualche anno addietro. 

Negli ultimi anni però la qualità della corrente in casa è andata via via peggiorando (la tensione in alcuni momenti della giornata scendeva fino 190/195 volt e nei restanti non saliva mai oltre i 215/216 volt) motivo per i quale mi son deciso di affrontare il toro per le corna e segnalare con insistenza il problema al mio fornitore di rete che, dopo una serie di tribolazioni, ha effettuato i dovuti controlli e, accertata la criticità della situazione, nel giro di qualche giorno mi ha assicurato una corrente pressoché costante intorno ai 225/230 volt.

Tutto sto ambaradan per dirvi che conosco bene come varia il suono di un impianto a seconda della qualità della corrente ricevuta e che, al momento, quella che alimenta le mie elettroniche oltre che costante e alta sembrerebbe essere di buona qualità… o meglio, così pensavo. 

Eh si, perché l’arrivo in redazione di Audiosinapsi di una terna di filtri Apotema Audio ha rimesso nuovamente in discussione (purtroppo in hifi accade sovente) quel che sembrava essere ma che in realtà non era.

Avevo già avuto occasione in passato di provare un prototipo dei filtri di  Apotema Audio, azienda fondata e diretta dal fervido Paolo Belloni,  e rimasi piacevolmente sorpreso dai benefici che lo stesso apportava nella lotta ai disturbi presenti sulla rete elettrica e, conseguentemente, dal miglioramento della qualità del suono, ma in quel momento avevo ben altri problemi con cui combattere, in primis il livello della tensione che spesso era talmente basso da far affievolire la luminosità delle lampadine e quindi costringermi a rinunciare alle sedute di ascolto (se non utilizzando un UPS che nel frattempo avevo ricomprato).

Risolto il problema a monte a seguito dell’intervento del gestore della rete elettrica, proprio in memoria di questo filtro di cui non sapevo fosse stato sviluppato un modello definitivo, ho acquistato un filtro che al pari di quelli oggi in recensione lavora in parallelo, un Isotek Evo 3 Isoplug del quale avevo letto gran bene sul web  e che in una comparativa con filtri dal costo anche decuplo (l’Isotek costa poco più di un centinaio di euro) risultava essere addirittura più efficace. 

In effetti il suo inserimento in uno dei distributori di rete del mio impianto (oltre alla multipresa Ladysound, non essendo sufficienti le sue sei prese, utilizzo anche una Black Noise “Derive” della Systems and Magic a quattro prese) ha apportato evidenti migliorie in termini di nero infrastrumentale e focalizzazione di voci e strumenti. 

La telefonata di Carlo Elia che mi annunciava l’arrivo di questi filtri ha pertanto  immediatamente ridestato le giunzioni sinoptiche  tra i miei neuroni generando una immediata reazione mnemonica sui benefici che il prototipo del filtro Apotema aveva apportato ai miei ascolti….la distanza tra il mio studio e la redazione di AudioSinapsi è talmente breve che pochi minuti dopo li avevo già per le mani, pronti per essere testati nella mia catena.

Quest’ultima si compone di sola sorgente digitale, un Mini Mac esclusivamente dedicato alla funzione di player, con 8 gb di ram e con un SSD interno da 128 gb sul quale gira solo Audirvana ed alimentato con un lineare esterno Teradak da 200 watt, che mi consente l’ascolto dei file wave o hires presenti su di un HD esterno da 4TB (alimentato anch’esso da un lineare esterno) o in streaming tramite Qobuz.

Dal Mini Mac il segnale esce in USB verso una interfaccia Audio GD DI20 che è a sua volta connessa tramite un cavo HDMI all’ingresso I2S del dac Audio GD Master 7.

La sezione amplificatrice è composta da un pre valvolare Primaluna Dialogue Premium con valvole NOS e da un finale a stato solido Motif MS1001, un vecchio progetto top di Conrad Johnson del quale penso di essere l’unico possessore in Italia (Carlo ha una coppia del modello precedente, il Motif MS100).

I diffusori sono invece degli Scansonic MB2.5B (storico marchio danese fondato nel 1970 dalla Scan Speak, ed oggi di proprietà del gruppo Dantax A/S che possiede anche le aziende danesi Gamut e Raidho, nei cui stabilimenti vengono prodotti i diffusori Scansonic) posati su dei disaccoppiatori Isoacustics Gaia III. I cablaggi sono di vari brand.  

I filtri Apotema Audio in prova, come premesso, sono tre.

L’entry level Black Hole ed, a salire di livello, il Dynamics Extender ed il Materik 1.

Il primo è costituito da un corpo unico cilindrico che ha ad una delle due basi una spina schuko maschio che si inserisce direttamente nella multipresa, mentre i secondi hanno forma piramidale (non se sia una coincidenza ma in geometria l’Apotema è il raggio della circonferenza iscritta in un poligono che nel caso della piramide regolare congiunge il punto in cui cade l’altezza della piramide al punto medio del lato del poligono di base) con un ingresso IEC al quale collegare un normale cavo di alimentazione ed un pulsante di accensione/spegnimento.

Tutti e tre i filtri presentano delle cornici in materiale metallico pressofuso ed il corpo in alluminio ricavato dal pieno. 

Tutti e tre, sono filtri “passivi”, come già detto, di tipo “parallelo”, ossia che si inseriscono in parallelo alle elettroniche del nostro impianto, evitando in tal modo a piè pari tutti i problemi, la compressione dinamica in primis, spesso tipici dei filtri “attivi” e di tipo “in serie”.

Tutti e tre i filtri lavorano su due fronti, ossia contrastano sia i disturbi provenienti dalla rete elettrica che su quelli auto indotti  dalle stesse elettroniche ossia il cd. “feedback di alimentazione”.

I primi disturbi sono quelli generati da “spurie” che deformano l’onda sinusoidale (la corrente alternata ideale dovrebbe avrebbe una rappresentazione grafica di una sinusoide perfetta, ossia di un segnale periodico caratterizzato da una ampiezza e da un periodo costanti all’infinito).

In un sistema ideale la corrente generata dalla cabina elettrica secondaria (che trasforma la media tensione in bassa tensione) presente nella propria zona dovrebbe pertanto avere un andamento sinusoidale puro con una inversione di polarità costante nel tempo e della stessa ampiezza (i famosi 50 hz).

Dando per buono che sia così accade purtroppo che dalla cabina elettrica sino al nostro contatore (ed oltre) una serie di fattori “inquinanti”, rappresentati da armoniche (di secondo, terzo e quarto ordine, ossia multipli di frequenza), spurie (somme di frequenza, rumori di battimento, irradiazione di trasmettitori o ricevitori, radiofrequenze) e rumori impulsivi (i cd. spike generati da motori elettrici) decrementano notevolmente la qualità della corrente che arriva ai trasformatori delle nostre elettroniche con risultati a volte devastanti sul suono riprodotto. 

Per semplificare, basta la presenza in casa di un alimentatore switching (ne abbiamo tanti) o di un inverter, di un sistema di illuminazione elettronica (sante lampadine ad incandescenza che non si trovan più), di un frigorifero che attacca e stacca o del motore di un autoclave che parte, a rovinarci una seduta di ascolto.

E’ chiaro quindi quanto sia difficile risolvere i problemi generati dalle apparecchiature elettriche presenti tra le nostre mura domestiche, figuriamoci come si possa pensare di farlo con tutte quelle dei terzi che ci circondano e che emungono corrente dalla stessa linea che giunge al nostro contatore. 

I secondi disturbi invece, ancor più subdoli e meno individuabili (e quindi meno contrastabili) dei primi, sono quelli auto-indotti dalle nostre stesse elettroniche (quelle che compongono l’impianto per esser chiari). 

Per capirne di più su questo tipo di disturbo, ossia sul feedback di alimentazione, corre in aiuto Paolo Belloni il quale spiega che occorre considerare che l’impedenza della linea di alimentazione è bassa ma non nulla, e aumenta proporzionalmente con la frequenza a causa delle componenti reattive. 

Questo determina variazioni di tensione proporzionali alla corrente assorbita dal nostro sistema. La corrente non è costante, ma varia in relazione al segnale musicale. La conseguenza immediata è che la tensione presente sulla multipresa che alimenta il nostro impianto varia in funzione del messaggio riprodotto.

Guardando ora il nostro sistema da questo punto di osservazione vediamo che le elettroniche si differenziano tra loro: quelle che operano a livello di segnale (pre phono, streamer, lettore CD, convertitore D/A, preamplificatore) hanno assorbimenti molto bassi e solitamente costanti, mentre i finali di potenza hanno assorbimenti superiori di diversi ordini di grandezza, e sempre correlati al segnale musicale.

Questi assorbimenti “correlati” vengono “visti” dalla rete di alimentazione, che ha una resistenza non nulla e un’impedenza che cresce con la frequenza, e generano una variazione di tensione che ritroviamo intatta su tutti gli stadi primari delle elettroniche di segnale, da qui sui secondari e negli stadi attivi, e infine sul segnale.

Di fatto abbiamo un vero e proprio feedback: il segnale di uscita del finale di potenza viene riportato, in modo indiretto, all’interno degli altri componenti del nostro sistema.

Se è vero che il feedback negativo presente nelle elettroniche è desiderato, previsto e controllato ai fini del loro funzionamento ottimale, nel caso del feedback di alimentazione gli effetti riguardano l’intero sistema, e non sono nè desiderati, nè prevedibili, nè controllabili a priori.

Questo tipo di feedback è evidentemente di natura complessa, e di fatto imprevedibile negli effetti, i quali dipendono dalla sommatoria di tutte le interferenze prodotte dai singoli componenti e da come queste interferenze interagiscono con le circuitazioni attive presenti all’interno di ciascuno.

Infatti lo stesso tipo di interferenza, anche se meno marcata, avviene tra le alimentazioni delle elettroniche di segnale: ogni alimentatore produce sul proprio primario una certa quantità di rumore elettrico.

Il Feedback di Alimentazione è a tutti gli effetti una fonte di inquinamento, che si distribuisce su tutto lo spettro udibile e oltre.

I sistemi di filtraggio presenti degli alimentatori delle elettroniche sono progettati per eliminare la componente alternata della frequenza di rete (50/60Hz), ma sono solitamente meno inefficaci alle frequenze superiori e sui disturbi di modo comune.

La conseguenza è che buona parte di questo inquinamento non viene assorbito dalla rete, entra nei circuiti attivi e interferisce con il segnale musicale, causando distorsione armonica, compressione dinamica, perdita di dettaglio per mascheramento, fatica di ascolto e mancanza di naturalezza.

La soluzione più efficace è assorbire ed eliminare questo inquinamento nel punto esatto dal quale tutte le elettroniche attingono l’energia necessaria. Questo punto è anche quello in cui risulta maggiormente efficace l’eliminazione dei disturbi provenienti dalla rete esterna, ed è costituito dalla multipresa, che rappresenta il centro-stella di alimentazione.

Ed è qui che interviene il filtraggio dei sistemi di Apotema Audio che una volta inseriti nella multipresa che alimenta l’impianto, grazie all’utilizzo di una rete di celle diversificate, ciascuna destinata ad uno scopo preciso ed unico, gestiscono correttamente sia i disturbi provenienti dalla rete che quelli auto-indotti, nelle loro caratteristiche di intensità, frequenza e durata.

E qui mi fermo sia perché non ho le competenze tecniche per andare oltre ma anche perché non vorrei che il buon Belloni possa un domani perseguirmi per abuso di informazioni privilegiate (ovvero, giusto per fare il figo, per insider trading …).

Quoniam ad hunc locum perventum est (non mi dite che non conoscete a memoria il De Bello Gallico), passo ad affrontare il punto caldo che forse tutti state aspettando, ossia il sodo, ovvero se cambia e cosa cambia una volta inserito sto benedetto filtro nella multipresa.

Tolgo a me stesso immediatamente le castagne dal fuoco e vi dico che cambia e non poco…sul cosa cambia dovrete continuare a leggermi, possibilmente con sana lentezza, con buona pace del Carlo Elia che si vedrà superato dal sottoscritto nelle statistiche del tempo di lettura degli articoli pubblicati su Audiosinapsi.

Per aspera ad astra! (e chi più ne ha più ne metta)…

Partiamo dal basso. 

“In primis”.

Se avete seri problemi di sbalzi di tensione questi filtri non ve li risolveranno e quindi vi consiglio di risolvere tale problema alla radice con il vostro fornitore di rete oppure di acquistare un UPS a doppia conversione on line (di quelli seri…) o un rigeneratore di corrente (ottimi quelli della PSAudio  o quelli della ProPower, giusto per fare qualche nome) ma preparatevi a sborsare qualche migliaio di euro.

Se invece avete già un UPS a doppia conversione on line o un rigeneratore AC, “forse” potete abbandonare subito la lettura e dedicare all’ascolto il tempo che resta per arrivare fino al termine di quest’articolo.

Se avete letto bene ho scritto “forse”, e non a caso.

Se utilizzate il rigeneratore di corrente o l’UPS a monte di una multipresa è infatti assai probabile che abbiate risolto solo i problemi del primo tipo, ossia quelli che provengono dalla rete, ma che abbiate ancora a che fare con i problemi derivanti dal feedback di alimentazione e quindi è bene che continuiate a leggere sta solfa (termine che vi ricordo derivare dal nome di due note, “sol” e “fa”, e che quindi sempre solfa resta ma per vostra fortuna ha qualcosa che comunque ha a che fare con la musica).

“In secundis”.

Se avete impianti del tubo (logicamente non mi riferisco alle beneamate valvole) o impianti, anche stellari, mal settati (ne ho ascoltati tanti di impianti da svariate decine di migliaia di euro che non suonavano per come avrebbero dovuto) non andate in giro a dire che i filtri non funzionano perché nel vostro caso sarebbe come cavar sangue da una rapa.

Fatevi aiutare da qualcuno che ha più esperienza di voi (Carlo Elia è a vostra sempiterna disposizione, anche in orari notturni, e si accontenta in cambio di un frugale piatto di fagioli con le cotiche, soprattutto in estate) e ponete a punto l’impianto, mettendolo in fase, sia assoluta (quella dei poli del diffusore) che elettrica, quanto quella di sistema (che si ottiene ad orecchio, variando la polarità delle spine di ogni singolo componente indipendentemente dalla loro fase elettrica, sino a che non avrete raggiunto il giusto risultato).   

Premetto che una delle cose che meno mi aggrada degli ascolti audiofili finalizzati alla valutazione di un componente, è la ostinata riproduzione dei soliti dischi, ancor più dei soliti brani,  e della conseguente rabdomantica ricerca delle differenze nel suono dei campanellini, dei gemiti gutturali e dei rumorii generati dall’apparato digestivo della cantante di turno percepiti a seconda del componente in test, motivo per il quale, contrariamente all’uso consolidato nelle recensioni-tipo, non starò a descrivere con minuzioso dettaglio cosa è cambiato nell’ascolto dei vari passaggi di un singolo brano dopo l’inserimento di uno dei filtri nella catena ma mi limiterò a riportare le sensazioni (nell’uso puro del termine) provate durante più sessioni di ascolto effettuate in pieno relax…in parole povere, ho approfittato della possibilità di testare i filtri per ascoltare musica (cosa che per mancanza di tempo non riesco a fare con la frequenza desiderata) e non del contrario. 

Il primo dei tre filtri inserito nella multipresa è stato il “Black Hole”.

Ai “non addetti ai lavori” (ma tra i lettori di Audiosinapsi non penso ve ne siano) sembrerà paradossale ma la prima impressione avuta è stato l’aumento del “silenzio” durante la riproduzione musicale. 

Nulla di particolarmente sconvolgente per carità, ma ho già un impianto abbastanza “silenzioso” e mi ha sorpreso percepire un ulteriore abbassamento del rumore di fondo che, prendendo in prestito una terminologia propria del settore fotografico, ha generato un nero (il tanto abusato “nero infrastrumentale”) più profondo, consentendo conseguentemente una migliore “visualizzazione” a basso volume di dettagli che in assenza del filtro necessitano di un ascolto ad un volume di riproduzione leggermente più elevato per essere percepiti con la stessa nitidezza. 

Tutto ciò, abbastanza chiaro all’ascolto, ha una spiegazione tecnica derivante dal fatto che gli strumenti musicali, inclusa la voce (con la sola eccezione degli strumenti percussivi), generano uno spettro armonico costituito da una frequenza fondamentale (di x hz) e da un numero di frequenze parziali (di x hz per 2, per 3 e così via) che sono distanziate secondo la serie armonica e che a seconda del loro crescere o decrescere determinano il timbro di uno strumento. 

Quel che accade è che durante la riproduzione della frequenza fondamentale e delle sue armoniche, il rumore o le distorsioni presenti nella rete elettrica occupano gli spazi tra le varie armoniche, alterando nella sostanza la timbrica dello strumento riprodotto con tutto quel che ne deriva in termini di naturalezza, separazione netta con gli altri strumenti, giusto decadimento della nota suonata….

In parole povere, per togliermi dai casini in cui mi sto infilando in questa elucubrazione tecnica che non mi compete, riporto una espressione a cui ricorro ogni volta che mi trovo davanti ad un impianto che non presenta il dovuto “nero infrastrumentale”, sperando che chi mi legge abbia provato almeno una volta la stessa sensazione:

“Sto sentendo la corrente!”, questo è quel che mi viene alle labbra ogni volta che il rumore di fondo generato dal fenomeno poc’anzi maldestramente descritto impera in sistemi non adeguatamente curati sotto il punto di vista elettrico. 

Orbene, il Black Hole nella mia catena fa evidentemente il suo bel lavoro, riducendo un rumore di fondo che pensavo non esserci e consentendo una maggiore naturalezza, una minore fatica di ascolto ed una migliore intellegibilità dell’evento riprodotto.

Tutto risulta essere più realistico, dalla timbrica dello strumento in riproduzione, al suo decadimento armonico.  

Vi sembrerà poco ma vi assicuro che in un impianto discreto e ben settato un incremento di tal genere vale tanto. 

Ho provato più volte a togliere ed a rimettere il filtro ed ho avuto sempre lo stesso risultato. 

Ergo, il Black Hole, funziona!

Il secondo filtro entrato in catena è stato il “Dynamics Extender”. 

Questo, come già scritto, contrariamente al Black Hole non ha il vantaggio di poter essere direttamente inserito nella multipresa, ma ha necessità di un cavo di alimentazione che abbia ad un estremo un connettore  IEC femmina da 16A ed all’altro capo un connettore Schuko maschio. 

Il produttore consiglia di utilizzare un cavo quanto più corto possibile e non capacitivo. 

Non avendo in casa cavi più corti di 150 cm ho inizialmente utilizzato un cavo di tale lunghezza ma poco tempo dopo ho acquistato un cavo ad hoc della lunghezza di 50 cm e posso confermare che con quest’ultimo, sia il filtro in questione che il filtro Materik 1 hanno avuto un incremento di efficacia. 

Per una questione di praticità avrei preferito che il filtro fosse già cablato e penso, che su richiesta, il prodotto possa essere venduto con tale configurazione, ma questa è questione di poco conto. 

Una volta rimosso il Black Hole dalla multipresa ho pertanto proceduto ad inserire al suo posto il Dynamics Extender durante la stessa seduta di ascolto in modo da avere la possibilità di un confronto immediato e diretto tra i vari filtri in test (ho ripetuto tale procedimento anche in altri  giorni in modo da non essere influenzato né dalla psicoacustica temporanea né dalla qualità della corrente che arrivava al momento).

E qui le cose son cambiate…

Il Dynamics Extender migliora infatti tutto quello che il Black Hole fa già bene, offrendo un immediato e netto incremento del nero infrastrumentale ed una ancor maggiore naturalezza e musicalità. 

Ma quel che mi ha sorpreso del Dynamics Extender è stata la sua capacità di migliorare la dinamica e l’estensione in alta frequenza dell’impianto in uso, con un netto aumento della luminosità e della croccantezza della gamma acuta, incidendo positivamente anche nella gamma inferiore dello spettro acustico, dove il basso scende con maggiore scioltezza in profondità, acquistando corpo, palpabilità, presenza ed al contempo precisione. 

La “messa a fuoco” dell’evento riprodotto è molto più rapida e facile, tutto appare più solido, scolpito e privo di grana, la scena si amplia nelle tre dimensioni spaziali e tutto diventa maggiormente intelligibile, in primis le voci femminili. 

Ho percepito quella sensazione che normalmente si prova nel salto di classe tra elettroniche, ovvero quella emozione sottile che si ha nell’ascoltare nitidamente alcuni particolari che prima sembravano “velati” o leggermente accennati e che invece, una volta “messi alla luce” arricchiscono grandemente l’esperienza di ascolto, un po’ al pari della sensazione che prova colui che ha difetti di visus che non pensava di avere una volta che il suo bravo oculista gli ha posto sul naso le dovute lenti di correzione…il cosiddetto effetto “wooow”!

E’ stata quindi la volta del terzo filtro in esame, il top di gamma dei filtri Apotema Audio, il Materik 1. 

Non nascondo di essere stato leggermente prevenuto al momento dell’inserimento del Materik 1 nella multipresa non credendo possibile poter incrementare ulteriormente i benefici tratti con il Dynamics Extender, cosa che mi ha costretto ad alternare più volte i due filtri prima di convincermi che le differenze che percepivo tra loro erano reali e non frutto di suggestione o fuorviante entusiasmo (in hi-fi la psicoacustica gioca spesso butti scherzi…).

Avrete quindi già intuito che, al pari di quel che accade sostituendo il Black Hole con il Dynamics Extender, anche il Materik 1 apporta un ulteriore incremento dell’efficacia di filtraggio rispetto al Dynamics Extender, ma lo fa in modo diverso tanto che ai primi ascolti non nego di avergli preferito quest’ultimo. 

Perché? 

Perché il Materik 1 fa tutto quello che fa il Dynamics Extender ma lo fa in modo molto più raffinato e profondo da confondere di primo acchito.

Usando un esempio assai sfruttato, posso dire si avere avuto una sensazione pari a quella che si prova ascoltando una grande sorgente analogica dopo aver sollazzato a lungo le orecchie con una sorgente digitale di alto lignaggio. 

E’ tutto bellissimo, perfetto, non ti manca nulla ascoltando un digitale top e quando passi all’ascolto di una sorgente analogica ti dici subito che di quest’ultima potresti farne a meno, che ormai il digitale è pari se non superiore all’analogico, che il digitale è molto più pratico, che ti mette a disposizione l’universo musicale (motivi, questi ultimi due, per i quali ho abbandonato l’analogico) ecc. ecc., ma nel mentre stai facendo questi ragionamenti la musica, dopo aver attraversato i nuclei cocleari, il tronco encefalico ed il cervelletto è già giunta al nucleus accumbens e quindi all’amigdala…e qui ti sei già rimangiato tutto, perché quel che il tuo cervello sta provando in termini di emozioni [alla fine siamo stati creati “analogici per un mondo analogico” milioni di anni fa ed il digitale non solo non ci appartiene geneticamente ma è solo una gran (bella) presa per il c…. regalataci dall’era moderna]  facendo girare un bel disco nero sotto uno stilo in diamante è francamente superiore a quello generato dalla lettura di una serie binaria di pit (valore “0”) e di land (valore “1”) attraverso un diodo laser.

Ecco, accade più o meno la stessa cosa passando dal Dynamics Extender al Materik 1.

Con il filtro top di gamma dell’azienda di San Giuliano Milanese, oltre ad un ulteriore decremento del rumore di fondo si ha la netta sensazione di un suono che visivamente ti “galleggia” davanti, completamente svincolato dai diffusori dai quali proviene. 

Aumenta l’ampiezza e la profondità di scena ed il messaggio musicale acquisisce maggior peso, realismo e trasparenza. 

Vengono alla luce dalla profondità della parete di fondo una serie di “nuances” delle voci prima non percepibili, ed un sorprendente incremento del decadimento armonico delle note emesse dal pianoforte che restano nell’aria per un periodo di tempo più lungo (parliamo di frazioni di secondi eh, ma il cervello è una macchina talmente perfetta che rileva perfettamente quel che sta accadendo).

Tutto è più naturale e timbricamente corretto e sparisce quell’effetto “fionda” degli attacchi degli strumenti musicali, in primis dei fiati e delle voci, che acquisiscono quella scioltezza tipica dell’evento live e non amplificato. 

Insomma, questo filtro fa un gran bel lavoro, e a mio avviso potrebbe rappresentare la ciliegina sulla torta di tanti impianti ben curati ai quali manca solo quel quid per essere pressochè perfetti.

Il costo di questi filtri non è basso, o perlomeno non lo è in termini assoluti (si parte dai circa 300 euro del Black Hole per arrivare ai quasi 900 euro del Materik 1) ma se correttamente parametrato al costo totale di un impianto ed alla luce dei benefici che la loro introduzione apporta allo stesso li rendono da essere presi seriamente in considerazione……

I filtri “lavorano” e conferma di ciò ne viene data, oltre che dall’orecchio, anche dal fatto che dopo un poco diventano tiepidi.

Ultimo ma non per ultimo.

Avendo tutti e tre i filtri a disposizione ho provato ad abbinare il Black Hole, prima insieme al Dynamics Extender, e poi al Materik 1, ottenendo ulteriori incrementi di questi ultimi due filtri. Ma l’approfondimento di queste prove lo lascio alla vostra curiosità…

Quel che consiglio a chi dovesse comprare uno di questi filtri è di provare anche ad invertire la fase della schuko inserita nella multipresa e vedere quale delle due opzioni offe risultati migliori. Io le differenze, seppur sottili, le ho percepite.

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